GENERALE CARLO ALBERTO DALLA CHIESA
Nato a Saluzzo (Cuneo) il 27 settembre 1920; caduto a Palermo il 3 settembre 1982
La carriera
Figlio di carabiniere inizia la sua carriera nell’esercito e passa ai Carabinieri allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Comandante a San Benedetto del Tronto, nel settembre del 1943 si unisce alla resistenza partigiana.
Nel 1949 chiede il trasferimento in Sicilia per combattere la mafia.
Gli viene conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare.
In seguito viene trasferito a Firenze, Como e Milano.
Nel 1963, a Roma, viene promosso Tenente Colonnello.
Successivamente viene trasferito a Torino.
Nel 1966 ritorna in Sicilia con il grado di Colonnello e assume il comando della Legione Carabinieri di Palermo.
Nella lotta alla mafia ottiene ottimi risultati.
Nel 1968 con i suoi reparti partecipa di persona al soccorso delle popolazioni del Belice colpite dal terremoto. Per la sua partecipazione gli viene conferita la Medaglia di Bronzo al Valor Civile.
Indaga sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro e sulla morte di Enrico Mattei.
Nel 1973 è promosso Generale di Brigata e nominato Comandante della regione Nord-Ovest.
Crea una struttura antiterrorismo e cattura Curcio e Franceschini.
Successivamente gli vengono conferiti poteri speciali per la lotta al terrorismo e studia e promuove strumenti giuridici e di intelligence di grande efficacia.
Nel 1981 diventa Vice Comandante Generale dell’Arma, seguendo le orme del padre, Romano
Nel 1982, denuncia alla Presidenza del Consiglio l’esistenza di un connubio perverso tra mafia e una delle correnti democristiane.
Subito dopo viene inviato a Palermo come Prefetto
Denuncia la mancanza di veri poteri e strumenti e la presenza di connivenze e complicità tra funzionari dello stato e mafia.
Rifiuta con sdegno ogni forma di protezione personale speciale
Il 3 settembre 1982 , a Palermo, viene ucciso con la moglie Emanuela e l’agente Domenico Russo.
Medaglia d’Oro al Valor Civile alla Memoria con la motivazione:
"Già strenuo combattente, quale altissimo Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, della criminalità organizzata, assumeva anche l'incarico, come Prefetto della Repubblica, di respingere la sfida lanciata allo Stato Democratico dalle organizzazioni mafiose, costituenti una gravissima minaccia per il Paese. Barbaramente trucidato in un vile e proditorio agguato, tesogli con efferata ferocia, sublimava con il proprio sacrificio una vita dedicata, con eccelso senso del dovere, al servizio delle Istituzioni, vittima dell'odio implacabile e della violenza di quanti voleva combattere".