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| ROMA ANTICA | |
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Autore | Messaggio |
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Remigio
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| Titolo: ROMA ANTICA Mar Giu 15, 2010 1:15 pm | |
| ROMA ANTICA
Propongo di parlare di Roma antica in chiave non convenzionale
Mi spiego: tutti abbiamo dovuto subire in età scolare la storia di Roma antica.
Per molti una tortura il dover sentire e ricordare sequenze di fatti bellici, nomi, date, ecc…In definitiva avvenimenti accaduti centinaia di anni fa con protagonisti di cui si conosce solo il nome o poco più.
Diverso il discorso delle arti. Infatti letteratura, poesia, filosofia, generalmente avvicinati in età più matura, sono molto più gradevoli e interessanti.
Premesso questo vorrei dimostrare che si può avere un discorso interessante anche su questo tema che pur essendo molto sfruttato ha spazi poco esplorati.
Mi piacerebbe che i colleghi marinai dedicassero un poco del loro tempo per dire qualcosa sugli aspetti di questa antica civiltà.
Gli argomenti non mancano: abitudini quotidiane, cucina, commercio,tecnologia, cultura, amore, poesia, ecc…
Le fonti sono abbondanti, si può usare Wikipedia o qualunque altro magazzino di dati, chiedo solo di pubblicare degli estratti, o nel caso si voglia evidenziare un testo integrale, indicare solo il link.
Personalmente preferisco le fonti cartacee, ma ognuno faccia come si sente.
In questo caso vorrei che tutto venisse scritto nella stessa stanza, senza dividere gli argomenti dai commenti, visto che l’esperimento fatto con l’argomento “Comunicazione…” ha dimostrato che la segregazione dei commenti genera qualche confusione.
Vorrei chiarire cosa intendo con storia di “Roma Antica”: Il periodo va dalla mitica data della fondazione di Roma ( 753 a. C.) alla data della deposizione dell’ultimo imperatore d’Occidente da parte di Odoacre (476 a. D.).
Per amore della verità vi informo che l’idea parte dalla nostra amabilissima Juliet che pubblicamente ringrazio. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
Messaggi : 2143 Data d'iscrizione : 19.01.10 Età : 63 Località : pr. di milano Umore : felino, vulcanico
| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mar Giu 15, 2010 5:47 pm | |
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(LA) « Sexta Olympiade, post duo et viginti annos quam prima constituta fuerat, Romulus, Martis filius, ultus iniurias avi, Romam urbem Parilibus in Palatio condidit. »
| (IT) « Nella sesta olimpiade, ventidue anni dopo che era stata istituita la prima, Romolo figlio di Marte, dopo aver vendicato le offese recate al nonno, durante le feste in onore della dea Pale fondò Roma sul Palatino. »
| (Velleio Patercolo, II, CXXXI)
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La fondazione di Roma secondo la leggenda. Il ciclo tr...a latino e il ciclo sabino Due sono i cicli di leggende che narrano l’origine della fondazione di Roma: uno tr...a-latino, l’altro sabino. Secondo il ciclo tr...a-latino, il fondatore della città Romolo sarebbe discendente dell’eroe tr...a Enea, figlio di Anchise e di Venere che, dopo aver valorosamente combattuto contro gli achei, quando tr...a fu sopraffatta fuggì, insieme al padre, alla moglie Creusa e al figlio Ascanio (o Iulo, eponimo della gens Iulia, che sarà la prima dinastia della Roma imperiale), giungendo dopo un lungo viaggio sul litorale laziale. Ascanio vi fondò la città di Alba Longa di cui sarebbe stato il primo re. Proprio un conflitto riguardo al diritto di governare Alba Longa fu all’origine della fondazione di Roma. I protagonisti erano i due figli del re Proca, Numitore, il legittimo erede al trono, e Amulio che prima rovesciò il fratello e quindi al fine di privare questi di una discendenza, impose alla moglie di lui, Rea Silvia di entrare nel collegio delle Vestali che erano obbligate al voto di castità. A rovinare questi piani l’intervento del dio Marte che si unì a Rea Silvia , la quale generò due gemelli Romolo e Remo. Essi dunque oltre ad essere discendenti di Enea, potevano vantare sangue di origine divina, proveniente da Venere e Marte. Amulio sottrasse i neonati alla madre e li abbandonò alle correnti del fiume sperando che da queste venissero inghiottiti. In realtà i due gemelli furono trasportati fino alle pendici del colle Palatino dove vennero raccolti da una lupa che li allattò fino a quando un pastore del luogo, Faustolo, non li prese e li allevò nella propria dimora. Romolo e Remo, venuti a conoscenza dell’origine regale della propria stirpe, deposero Amulio dal trono di Alba Longa riconsegnando il regno a Numitore. Quindi tornarono sul colle Palatino per fondarvi la nuova città. Da un oracolo degli aruspici vennero a sapere che a Romolo spettava il diritto di diventare il primo re e di tracciare con l’aratro in confini della nuova città . Remo per scherno e per rabbia verso il fratello decise di oltrepassare i confini che avevano carattere sacro e per questo Romolo lo uccise ( 21 aprile del 753 a.C; data della fondazione secondo la tradizione). Un altro ciclo di leggende ricostruisce invece i turbolenti rapporti tra i Latini e i Sabini, alla cui base ci sarebbe il famoso ratto dalle Sabine compito da soli uomini Latini che provvidero così a procurarsi le donne necessarie per dare stabilità alla fondazione di Roma. Per evitare ulteriori scontri e spargimento di sangue, proprio le Sabine si frapposero tra i contendenti. Queste infatti si trovavano a essere contemporaneamente mogli ( dei Latini) e figlie ( dei Sabini). Si giunse dunque a una rappacificazione sancita dalla spartizione del governo tra due re, Romolo di origine latina e Tito Tazio, di origine sabina. A rendere ancora più armoniosa la convivenza tra gli amici di un tempo il fatto che il secondo re di Roma, Numa Pompilio appartenesse alla stirpe dei Sabini. | |
| | | Remigio
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 16, 2010 7:32 am | |
| Bene Juliet, ottimo inizio.
Ovvio pensare che le leggende hanno sempre uno spunto da fatti realmente accaduti.
Peccato che non esistano documenti scritti con la cronaca degli avvenimenti.
Si suppone che la penisola fosse abitata da una popolazione primitiva neolitica e cavernicola (Liguri e Siculi) già da qualche millennio. Successivamente, dal nord, calarono popolazioni più evolute,capaci di lavorare i metalli e costruire abitazioni su palafitte.
Queste popolazioni, che noi chiamiamo Latini, Sabini, Etruschi… soppiantarono o assorbirono gli indigeni.
Tra queste popolazioni, forse parenti tra loro alla lontana, i Latini si distinsero per aggressività e presto divennero il popolo dominante. Alcune popolazioni si lasciarono assorbire dai latini altre come gli etruschi opposero resistenza a furono annientate.
Questa a grandi linee potrebbe essere la verità storica. Le leggende tuttavia la rendono meno prosaica e più gradevole.
Gli storici moderni hanno criticato duramente le leggende relative alla fondazione di Roma e al periodo della monarchia. A partire da Gianbattista Vico e Louis de Beaufort, molto critici e altri storici in epoca successiva un poco più possibilisti. Tuttavia criticare o peggio negare i fatti leggendari è azzardato in assenza di prove certe. | |
| | | Remigio
Messaggi : 503 Data d'iscrizione : 19.01.10 Età : 87 Località : Torino Umore : mutevole
| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 16, 2010 3:22 pm | |
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A proposito di scrittura!
Una caratteristica particolare di Roma era l’abbondanza di scritte che occupavano ogni superficie libera offerta dagli spazi urbani. Piazze, portici e giardini traboccavano di scritte informative, celebrative o commemorative.
Nei fori erano esposte le iscrizioni con testi legislativi, mentre annualmente i fatti degni di memoria venivano registrati ed esposti alla pubblica lettura.
La scrittura esposta era ad uso del popolo, poiché gli aristocratici avevano accesso alle informazioni originali.
Le scritte più antiche sono quelle del cippo del Foro, detto “Niger Lapis” della metà del VI secolo a.C., contenente una legge di carattere sacrale e le perdute XII Tavole di leggi del V secolo a.C.
La domanda che ci si pone è quale era il reale livello di alfabetizzazione del popolo romano. Certamente il privato cittadino aveva rare occasioni di scrivere e di leggere. Tuttavia era diffusa una competenza minima cioè la conoscenza di “lapidarias litteras” , da coloro che erano in grado di riconoscere le lettere grandi e a stampatello. Inoltre era in uso un sistema di abbreviazioni che permetteva a molti di conoscere il significato di una parola.
Esisteva poi una diffusa popolazione alfabetizzata, cioè le élites, ma anche molti liberti e schiavi colti. Esisteva la professione degli scribi che, dietro compenso, leggevano per conto altrui. Diffuso anche il volontariato: un passante istruito si prestava volentieri a spiegare le scritture esposte.
Si può quindi affermare che l’alfabetismo era diffuso, pur con le forme di ripiego dette.
Svetonio racconta che Caligola, sempre alla ricerca di fondi per rimpinguare le casse dello stato ( questo mi ricorda qualcuno), aveva escogitato un sistema molto intelligente per confutare le argomentazioni di coloro che evadevano le imposte, con la scusa che, le disposizioni, erano diffuse oralmente. Caligola fece esporre al pubblico le leggi fiscali, scritte in carattere piccolissimo e affisse in luoghi difficili da raggiungere, per cui nessuno potesse farne copia. (Svetonio, Caligola,41).
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| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 16, 2010 5:17 pm | |
| L'ISTRUZIONE I romani davano un'elevata importanza all'educazione dei propri figli. Occorre puntualizzare che non esisteva un' istruzione di massa, in quanto per motivi politici e sociali questa non era ben vista dalla classe aristocratica che deteneva il potere; la cultura infatti era considerata una pericolosa arma che poteva suscitare pensieri di ribellione, se diffusa anche nelle classi più umili. Questo non deve far pensare che non vi fosse una richiesta di istruzione da parte dei ceti inferiori della popolazione, al contrario si assistette ad una lenta ma costante ricerca da parte dei genitori delle famiglie meno agiate, di un maestro che potesse fare lezioni a gruppi di ragazzi, in contrapposizione al tutore personale (paedagogus) che caratterizzava l'educazione dei figli appartenenti alle famiglie più agiate, il quale oltre a svolgere il proprio compito di insegnante viveva anche nella famiglia del suo assistito. Nella prima parte dell'epoca repubblicana si assiste ad una chiara opposizione ai valori culturali esterni alla tradizione italica, principalmente verso quella cultura ellenica che propagandava un tipo di istruzione gestita da amministrazioni locali a differenza di quella romana ancora basata su criteri di tipo patriarcale. Il diffondersi delle prime scuole pubbliche tolsero al pater familias il monopolio dell'istruzione, fondata fino ad allora sul più rigido tradizionalismo e contribuì al diffondersi della cultura ellenica a Roma, in quanto l'insegnamento pubblico fu affidato principalmente a maestri greci. Lo stato non aveva ancora nessun interesse per l' istruzione pubblica e si limitava essenzialmente ad un controllo sporadico per mezzo dei censori. I maestri erano stipendiati direttamente dai genitori dei ragazzi che partecipavano alle lezioni. Questo disinteresse da parte dello stato romano deriva principalmente dalla cattiva considerazione che si aveva della cultura ellenizzante. Il progredire della cultura ellenica porta ad uno scontro tra le due grandi fazioni del tempo i democratici e gli aristocratici, i primi guidati da quel Marco Porcio Catone grande sostenitore delle antiche tradizioni, miravano alla conservazione di valori nazionalistici; i secondi invece mostravano una evidente apertura alla nuova cultura greca. Con l' istituzione delle scuole pubbliche, venne creato un calendario scolastico che era determinato da quello religioso. L' anno scolastico iniziava a marzo e vi erano delle vacanze nei giorni festivi e ogni nove giorni (nundinae); veniva effettuata una sosta nei mesi più caldi dell' estate. Per quanto riguarda gli orari, le lezioni iniziavano al mattino, con una sosta verso mezzogiorno e venivano riprese nel pomeriggio. Le classi erano composte sia di maschi che di femmine fino all' età di dodici anni, dopo erano essenzialmente formate di soli maschi e di ricca famiglia, mentre le femmine che verso l' età di quattordici anni erano già considerate in età da marito potevano continuare gli studi soltanto per mezzo di insegnanti privati.
GLI INSEGNANTI
L' antico costume romano prevedeva che il padre provvedesse all' istruzione dei propri figli. Tale istruzione si limitava al leggere, scrivere e far di conto. Negli ultimi anni della Repubblica e durante l' Impero i bambini erano affidati ad un pedagogo (litterator) che insegnava a leggere e scrivere, imparati questi rudimenti si passava al perfezionamento di ciò che aveva imparato; a questo pensavano: il Librarius che si occupava di perfezionare il ragazzo nella lettura e nella scrittura, il calculator che insegnava le varie operazioni aritmetiche ed il notarius che insegnava a stenografare. Alla fine di questi studi il compito di insegnare materie più complesse spetta al grammaticus il quale insegna la lingua e la letteratura greca, la storia, la geografia, la fisica, l' astronomia e la letteratura latina; La materia principale era la retorica in quanto per un romano la cosa principale era di sapersi esprimere con forza e con un linguaggio colto, e per questa serviva un professore di eloquenza (rethor) il quale insegnava la difficile arte del parlare allenando gli allievi ad effettuare monologhi ( suasoriae) oppure dibattiti (controversiae) in cui due scolari sostenevano due tesi opposte.
IL MATERIALE Corredo di uno scolaro romano composta da stili, calamai e vasetti. I sec. a.C. (Museo Archeologico) - Aquileia Piccolo abaco per imparare a contare.(Museo Nazionale Romano) - Roma L' istruzione veniva praticata in luoghi che non avevano niente a che fare con i grandi edifici che tutt' oggi caratterizzano le scuole pubbliche; l' insegnamento veniva praticato in piccole stanze (tabernae, pergolae) o addirittura, quando il tempo lo consentiva, all' aperto. L' arredamento scolastico era molto semplice non vi erano banchi e gli scolari erano seduti su sgabelli intorno al maestro il quale era seduto su di una sedia con spalliera (cathedra) o senza (sella); tenevano tra le ginocchia la tavola cerata e l' occorrente per la scrittura. Gli strumenti per la scrittura erano vari; si scriveva su papiro, pergamena (membrana) , su avorio, cocci o tavolette di cera. A causa dell' ineguaglianza della superficie il papiro di fabbrica egiziana poteva essere usato solo da un lato e quindi i romani lo perfezionarono e riuscirono a rendere la superficie perfettamente liscia comprimendola col torchio o battendola col martello.Quando si voleva che la scrittura durasse nel tempo venivano usate superfici come tavole imbiancate col gesso (tabulae dealbatae) , pietra o marmo ed è grazie a questi metodi che oggi abbiamo un grande quantitativo di scritti sia in greco che in latino, che sono serviti a tramandare nel tempo la conoscenza storica dei nostri antenati. I libri non erano nella forma che oggi vediamo, per raccogliere più pagine insieme si usava incollare le pagine una di seguito all' altra formando una lunga striscia che poi veniva avvolta formando un rotolo (scapus), il quale si teneva arrotolato a dei bastoncini (umbilicus) sia in cima che alla fine per evitare che la parte finale si sporcasse strascicando sul terreno; sull'orlo superiore del rotolo veniva applicato un cartellino con scritto il titolo del libro. In età imperiale si arrivò anche a dare ai libri la forma moderna, unendo tra loro alcune pagine di pergamena (quaterniones) in modo da formare una sorta di quaderno con una copertina ( codice membranei), questi però ebbero poco sviluppo per effetto dell' alto costo che li caratterizzava. Per proteggere i libri dalle intemperie e dal flagello delle tignole si usava spalmare la carta con olio di cedro il quale dava un' aspetto giallognolo e lucido al rotolo che successivamente veniva conservato in cassette. Il papiro e la pergamena nonostante la comodità non soppiantarono mai le vecchie superfici usate dagli antichi come cocci, pelli e tavolette cerate, in quanto il loro costo per una persona non facoltosa, era eccessivo. L' inchiostro (atramentum) era di solito nero e si otteneva mischiando insieme varie materie come: fuliggine di resina o di pece, feccia di vino e nero di seppia; esisteva anche un antenato del nostro inchiostro simpatico che veniva usato nella corrispondenza segreta, il sistema consisteva nell' utilizzo di latte fresco come inchiostro e chi riceveva la lettera doveva cospargere il messaggio di cenere per leggerne il contenuto. L'inchiostro veniva tenuto all' interno di contenitori (atramentarium) di varie forme, di solito cilindriche. Per scrivere si utilizzavano, cannucce appuntite (calamus) oppure penne d' uccello (penna). Per i brevi appunti venivano utilizzate delle tavolette con bordi rialzati, spalmate di cera (cerae) di solito colorata di scuro; la cera veniva spalmata su entrambe le parti della tavoletta e quest' ultima veniva legata con altre per mezzo di una cordicella che passava all'interno di alcuni fori praticati lateralmente, in modo da avere l' aspetto di un libro; l' insieme di più tavolette veniva chiamato caudex o codex. Per mezzo di un piccolo cannello sottile, terminante con una punta (stilus o graphium), si incidevano le lettere sulla cera; all' estremità opposta si trovava una piccola spatola che serviva cancellare la scrittura spandendo di nuovo la cera sul solco prodotto dallo stilo (stilum vertere).Le punizioni facevano parte del programma educativo, infatti, a volte l'unico modo per attirare l'attenzione dell'alunno e costringerlo allo studio, era spesso quello di ricorrere alle percosse. Lo strumento più utilizzato dai maestri per le punizioni era la ferula, una canna provvista di nodi di legno. Per infliggere punizioni più gravi si utilizzava la scutica, una frusta fatta di strisce di cuoio o staffile, ed ancora la virga, uno scudiscio anche questo formato da un fascio di strisce di cuoio. Lo scolaro veniva appoggiato sulle spalle di un compagno, mentre un altro ne teneva ben ferme le gambe, e quindi veniva frustato. La pena oltre che dolorosa era anche umiliante, in quanto il ragazzo oltre a essere percosso veniva prima denudato davanti a tutti i presenti. | |
| | | hermes
Messaggi : 1033 Data d'iscrizione : 19.01.10 Età : 60 Località : romano abusivo Umore : al vaglio
| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 16, 2010 8:52 pm | |
| complimenti a rem e jul per questo bellissimo topic dove spero di poter contribuire. con l'occasione vi nomino piero&angela. scherzi a parte. bravi. | |
| | | algiuga
Messaggi : 2566 Data d'iscrizione : 23.01.10 Età : 73 Località : Minturno Umore : gentile
| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 16, 2010 9:20 pm | |
| L'acronimo S.P.Q.R.,che ancora oggi figura nello stemma della città di Roma,viene comunemente interpretato come " Senatus Populusque Romanus" cioè Senato E Popolo Romano. Queste lettere erano d'oro in campo rosso. L'oro è giallo riferito simbolicamente al Sole che illumina e dà vita. Il rosso è simbolo di Marte ed indica vittoria in battaglia e potenza militare. Penso che tutti noi abbiamo studiato a scuola nella storia degli antichi romani la sigla che ci è stata spiegata appunto come le iniziali della frase Senato e Popolo Romano. Andando oggi, secondo il topic, a ricercare sul web S.P.Q.R. ho trovato diverse interpretazioni dell'acronimo fatte dagli studiosi di storia romana. Non le riporterò tutte ,ma mi soffermerò su quella che mi sembra più veritiera ed accettabile. Gli autori del SPQR furono i Sabini che al tempo in cui combattevano con successo contro i Romani coniarono il motto Sabinis Populis Quis Resistet ?
Che tradotto voleva significare : "Chi potrà resistere alle genti sabine?".
Quqndo finalmente i Romani ebbero la meglio sconfiggendo i Sabini ,si impadronirono del motto modificandolo in : Senatus Populusque Quiritium Romanorum Che significava : "Senato e Popolo dei Quiriti Romani".
Quiriti, come i Romani chiamavano sé stessi, nell'accezione di cittadini godenti dei pieni diritti civili. | |
| | | Remigio
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 16, 2010 9:40 pm | |
| Juliet, sei una miniera inesauribile. Bello e esauriente il tuo post sull'istruzione. Grazie Hermes per l'incoraggiamento. Aspettiamo il tuo contributo. Grazie Al per il tuo interessante intervento. | |
| | | algiuga
Messaggi : 2566 Data d'iscrizione : 23.01.10 Età : 73 Località : Minturno Umore : gentile
| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 16, 2010 9:59 pm | |
| Proprio interessante il post di Juliet sull'istruzione,due notazioni... -il fatto che i Romani considerassero molto evoluta la civiltà greca tanto da proporre l'insegnamento della lingua e della scrittura greca. -Il primo delegato all'istruzione dei giovani era la famiglia,poi subentravano gli insegnanti di cui parte integrante della capacità di insegnare erano le pene corporali ,inflitte agli alunni svogliati o scadenti. Forse oggi si è perduto il ruolo della famiglia come primo educatore ed anche l'importanza delle punizioni (non corporali per carità). | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| | | | Remigio
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 16, 2010 10:22 pm | |
| Va benissimo così Juliet. Nel tuo post non c'era niente di inutile.
Voglio inserire un tassello che riguarda un aspetto importante della cultura romana. Se non vi disturba continuerei a parlarne nei prossimi giorni.
La filosofia nella Roma antica
Catone contro Carneade
La cultura filosofica greca si insinuò in Roma a partire dal secondo secolo a.C.
Dapprima osteggiata, per il timore della sua forza innovatrice e tendenzialmente dissolutrice dei costumi tradizionali, prese infine piede. Nel 155 a.C., Carneade,filosofo greco, ( si proprio quello citato da Don Abbondio nei Promessi Sposi) tenne due conferenze pubbliche sul tema della giustizia.
Di fronte ad un pubblico colto e interessato, diede un brillante esempio di diatriba, cioè dell’esposizione dialettica di tesi opposte e contraddittorie: Dapprima svolse un appassionato elogio della giustizia. Poi capovolse il tono e la direzione del discorso dimostrando che:
a) le leggi differiscono da città a città.
b) Che nella stessa città mutano seguendo il costume
c) Che non vi sono “leggi naturali” alle quali l’uomo giusto possa attenersi con sicurezza.
d) Che la giustizia ideale e l’utile concreto sono in contrasto tra loro
e) Che in generale l’utile la vince sul senso della giustizia, sicché quest’ultima si riduce all’utile del più forte.
Se così non fosse concluse maliziosamente Carneade, i Romani, che hanno conquistato il mondo seguendo il loro utile, ora, se volessero essere giusti, dovrebbero rinunziare a tutte le loro conquiste.
I senatori presenti furono scandalizzati. In particolare Catone si arrabbiò moltissimo.
Il pubblico invece si divertì un mondo.
Carneade e soci furono invitati a lasciare Roma al più presto.
Notate l’attualità del discorso di Carneade | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 16, 2010 10:36 pm | |
| si al, i romani consideravano evoluta la civiltà greca, ma non era solo questo il motivo x cui si insegnava la lettura e scrittura greca, ma un altro. infatti quasi tutti i trattati di medicina era scritti in greco, lo stesso dicasi x quelli di diritto, anke se meno numerosi, da qui l esigenza di saperlo | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 16, 2010 10:39 pm | |
| rem, x favore puoi cambiare colore ai post....non so agli altri, ma io ho un po di difficoltà a leggerli. | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 16, 2010 11:12 pm | |
| Carneade sembra avere una visione della giustizia più relativistica e pragmatica.Ovviamente Catone doveva arrabbiarsi ,perchè era assolutista e giustisialista. Ren, per me il topic è molto interessante,mi farà piacere leggerci ancora nei prossimi giorni.Thanks | |
| | | Remigio
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 16, 2010 11:41 pm | |
| Certo l'assolutismo di Catone era in linea con la concezione romana della giustizia, sempre seconda rispetto alla legge. Mentre sarebbe giusto il contrario cioè la Giustizia sopre tutto e la legge al suo servizio. Mi ha sempre fatto accaponare la pelle il fatto che la legge romana vietava la condanna a morte delle fanciulle vergini. Ma...per rispettare la legge, il boia prima di eseguire la sentenza deflorava la malcapitata. Ho sempre pensato che i Galli , cosidetti barbari, avessero un senso della giustizia molto più sviluppato dei Romani e fossero in definitiva molto più "umani" . | |
| | | Remigio
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Gio Giu 17, 2010 9:01 am | |
| La filosofia nella Roma antica
Marco Tullio Cicerone e l’eclettismo
Nei decenni seguenti, divenne di moda, per i giovani “bene” , i viaggi di istruzione presso i principali centri di ellenismo. Come oggi i giovani che possono, vanno all’estero un poco per istruirsi e molto per essere “ a la page”.
I viaggi e soggiorni di studio avevano durate maggiori di oggi a causa della lentezza dei mezzi di trasporto e, tutto sommato,i giovani studiosi ne traevano durature esperienze.
Cicerone e Pompeo si recarono a Rodi e ascoltarono le lezioni del filosofo Posidonio, esponente della Media Stoa.
Cicerone successivamente tra il 79 e il 78 a.C., ad Atene, ascoltò lo scolarca Antioco di Ascalona e ne assorbì i principi eclettici, cioè nella sintesi delle dottrine di tutti i principali filosofi greci.
Antioco e il suo predecessore Filone avevano abbandonato il probabilismo di Carneade inaugurando la Nuova Accademia che diede vita ad una fase povera di originalità, impegnata a mettere d’accordo Platone con Aristotele e con gli stoici.
Cicerone, vissuto dal 106 al43 a,C: ebbe il grande merito di diffondere a Roma la filosofia greca con il suo stile letterario limpido e ordinato.
Le sue opere: De finibus;De natura Deorum;De officiis; Tusculanae disputationes……, sono delle esposizioni riassuntive nelle quali, per ammissione di Cicerone stesso,manca ogni originalità di pensiero.
Altro merito di Cicerone fu la trasposizione in lingua latina di termini e concetti del pensiero greco, dando vita ad una tradizione terminologica che è giunta fino ai nostri giorni.
Fu avverso all’epicureismo, visto come negazione della libertà umana e comunque troppo lontana dalla morale tradizionale romana.
Con il De legibus ammise l’esistenza di una legge naturale, da cui fece discendere, le fondazione teorica del diritto romano. Nel De officiis mostrò come l’utile non sia mai in contrasto con l’onesto, conciliando il pensiero greco con la saggezza pratica romana.
I termine “eclettico” è ancora in uso oggi per indicare chi ha diversi interessi e attività. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Gio Giu 17, 2010 7:12 pm | |
| Il II secolo e.v., età in cui visse Apuleio, è segnato da una profonda crisi spirituale. Il cosmopolitismo si afferma nell 'Impero Romano e decade il valore della cittadinanza romana, che stringeva il civis romanus alla res pubblica. Questa tendenza centrifuga favorisce un conseguente riflusso nel privato, concentrando l 'attenzione sulle problematiche e sugli affanni che più interessano l 'individuo, come la paura della morte e della perdita dell'«io». Per trovar conforto da queste angosce, l' uomo del II secolo e.v. adotta un atteggiamento irrazionale e mistico, che interessa tutti i campi culturali.All 'interno di questo contesto, Apuleio aderì al medioplatonismo, che ben incorpora tutte le tendenze della sua epoca. Il medioplatonismo è una corrente filosofica sviluppatasi tra il I secolo p.e.v e il II secolo e.v., che riprende le dottrine non scritte di Platone. Questo, talvolta, si rivolge ad altre tradizioni di pensiero, come il pitagorismo e l'orfismo, che vertono su un forte misticismo piuttosto che su un'indagine razionale della realtà.La componente mistica è fondamentale nella visione medioplatonica: essa è la via di separazione dal proprio corpo che costringe l' anima come in una prigione e ad una conseguente ascensione verso il divino. Apuleio dimostra la sua adesione a questa corrente filosofica in più modi. I primi riscontri si trovano nel trattato filosofico De deo Socratis, che espone la sua visione filosofica in relazione a quella socratica, quindi nella dottrina demonologica esposta da Apuleio. Allo stesso modo, manifestazione dell'affiliazione dell'autore col medioplatonismo è anche il suo forte interesse per la magia, i rituali e i culti misterici. Gran parte della sua formazione è sicuramente dedicata, infatti, ai misteri di Esculapio e ai misteri Eleusini. La stessa vicenda di Lucio, il protagonista de Le metamorfosi, riconosciuta come fortemente autobiografica, conferma la sua dedizione alla magia. | |
| | | Remigio
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Gio Giu 17, 2010 8:23 pm | |
| La filosofia nella Roma antica Lucrezio e l'epicureismo Ll'epicureismo viene introdotto a Roma da Filodemo di Gadara (110-35 a.C) che visse a lungo nella capitale entrando in relazione di amicizia con Cicerona, Orazio e Virgilio. Sicuramente Filodemo influenzò Lucrezio (95-55 a.C.) autore del capolavoro, incompiuto, De rerum natura che è stato il maggior veicolo di diffusione dell idee di Epicuro. Le tre parti dell'opera, pubblicata postuma a cura di Cicerone, trattano rispettivamente la teoria fisico atomistica, la natura dell'uomo e la natura dell'universo e dei principali fenomeni fisici. Nonostante l'amicizia che lo legava a Lucrezio, Cicerone polemizzo lungamente contro la dottrina di Epicuro. Tuttavia dobbiamo ai suoi scritti la conoscenza che abbiamo dell'epicureismo. | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Ven Giu 18, 2010 12:20 pm | |
| Lessi qualche libro delle Metamorfosi di Apuleio quando avevo circa 13 anni,prendendolo di mia iniziativa dalla biblioteca di mio padre.Ero attratto e mi concentravo prevalentemente sui passi erotici dell'opera e sulla narrazione delle vicende di Lucio,l'asino d'oro. Lo ripresi al liceo,quando si studiava filosofia,traendone insegnamenti validi per la conoscenza dello sviluppo del pensiero umano. In particolare la favola di Amore e Psiche,dove al centro c'è l'anima che imprigionata dalla materia e dalla "curiositas" si perde per essere poi riscattata e salvata dalla divinità (Iside),non per suoi meriti ma per la magnanimità del Dio. Dall'opera di Platone: I Dèmoni sono sempre essere intermediari tra gli uomini e gli Dèi, sono più potenti degli uomini ma meno degli Dèi. A differenza di questi ultimi che sono sempre buoni, tra i Dèmoni ve ne sono anche di cattivi. Ed Apuleio pone come discriminante tra la filosofia e la magia proprio i demoni. Ha scritto infatti che sia i filosofi che i maghi colloquiano con i demoni i primi con i demoni buoni,i secondi con quelli cattivi. Nella religione cristiana i demoni saranno indicati come angeli e diavoli. | |
| | | Remigio
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Ven Giu 18, 2010 4:44 pm | |
| Il diritto romano Nel diritto romano, in genere , una regola imposta d'autorità era detta "lex", mentre una regola maturata in graduale consenso era detta "ius". Durante il periodo repubblicano le "legis" erano soggette all'approvazione delle assemblee della plebe. Le Dodici Tavole (451-450 a.C.), raccolta scritta di norme dello "ius civile" in precedenza tramandate oralmente, sono la fonte primaria della stesura delle leggi per tutta la storia di Roma. Il contenuto delle Dodici Tavole è comprensibile solo in parte perchè tramandate indirettamente. Gli originali andarono persi nell'incendio provocato dai Galli nel 387 a.C.. Le Dodici tavole non sono leggi in senso tecnico, ma sono una raccolta di antiche norme consuetudinarie ( mores). Con le Dodici Tavole, promulgate con legge (Lex duodecim tabularum), si ottenne di assicurare l'uguaglianza del diritto per tutti i cittadini romani. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Ven Giu 18, 2010 5:04 pm | |
| Antica Roma: le norme delle XII Tavole Fu la stesura del primo testo scritto di leggi, redatto nel 451 – 450 a.C., inciso su lastre di bronzo, fu redatto da dieci magistrati, i decemviri le gibus scripundisLe XII Tavole, esposte nel Foro dell' Antica Roma, furono distrutte durante l’ incendio appiccato dai Galli nel 390 a.c. Non ci è pervenuto il testo originale, tuttavia grazie ad autori come Cicerone o il giurista Gaio che ne riportarono gran parte, sappiamo che le XX Tavole regolavano ogni campo del diritto. In materia processuale regolavano l’ antico processo privato detto per legis actiones. Posero le prime limitazioni all’ esercizio della patria potestas stabilendo che il padre che vendeva il figlio per tre volte consecutive perdeva la patria potestà su di lui. In materia ereditaria, stabilirono a quali parenti e in che ordine l’ eredità dovesse essere divisa in caso che il defunto non avesse fatto testamento. Altre regole determinavano i principali atti del commercio del diritto di proprietà e dei rapporti di vicinato. Relativamente al diritto penale, una tavola stabiliva quali comportamenti meritassero una punizione. Per esempio una regola stabiliva che se una persona, aveva fratturato un membro ad un’altra, doveva essere sottoposto alla legge del taglione. Ciò comportava che la persona che aveva aggredito, subisse lo stesso trattamento e se la vittima non era in grado di farlo, il compito spettava al suo parente più stretto. Due regole particolarmente severe; una era quella che in determinati casi autorizzava il derubato ad uccidere il ladro e quella che prevedeva che il debitore insolvente potesse essere punito con la morte. Se i creditori erano più di uno, potevano squartare il debitore, prendendo ciascuno una parte del cadavere. Un’altra disposizione decretava che i falsi testimoni e gli spergiuri dovevano essere gettati dalla rupe Tarpea. Infine una serie di norme riguardava le condizioni igieniche della città, proibiva di seppellire e bruciare i cadaveri dentro le mura e tentava di limitare il lusso dei funerali vietando di bruciare monili d’ oro insieme ai cadaveri. | |
| | | Remigio
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Sab Giu 19, 2010 5:16 pm | |
| La filosofia nella Roma antica Seneca e lo Stoicismo Lucio Anneo Seneca, spagnolo di famiglia nobile di Cordova, nacque il 4 a.C. e morì suicida nel 65, dopo essere caduto in disgrazia presso l'imperatore Nerone Di tutte le scuole filosofiche greche, lo stoicismo fu quelloche attecchì più profondamente e ampiamente a Roma. Seneca fu il divulgatore e interprete sommo dello Stoicismo. Epitetto e Marco Aurelio vissero secondo il pensiero stoico interpretato da Seneca. Nel "De providentia" Seneca celebra dei personaggi del passato, guerrieri o uomini di stato, che, pur essendo del tutto ignari della sua filosofia, ne furono i modelli incarnati: Attilio Regolo, l'impavido; Muzio Scevola, l'impassibile; Cinccinnato, austero; e sopratutto Catone Uticense, lucido, libero, suicida. I cristiani lo apprezzarono moltissimo: lo definirono "uno dei nostri". Gli umanisti gli preferirono Cicerone e Platone sopratutto perchè il loro latino era più puro. Petrarca lo criticò. Erasmo, suo editore, criticò il suo latino ed ebbe a dire " esorta all'onestà con tanto fervore, che sembra mancare egli stesso di cjò che insegna" Gli scritti di Seneca sono sempre attuali e sarebbe stata gran cosa se i nostri attuali governanti avessero letto ( e applicato) i suoi insegnamenti | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 23, 2010 1:23 pm | |
| L’ impero Romano Ottavio affermando di voler restaurare la repubblica, che infine rimase formalmente in vita, governò in realtà come un monarca, col consenso dell’ aristocrazia senatoriale, cioè penso bene di non ostentare troppo il potere acquisito: ogni volta che voleva far votare una legge, la presentava ossequiosamente al Senato che, pago dell’omaggio formale alla perduta sovranità , aprovvava senza discutere. Suddivise l’impero in due tipi di province: quelle senatoriali, strategicamente meno importanti, e quelle imperiali, governante direttamente da suoi rappresentanti e caratterizzate dalla presenza dell’esercito. L’Egitto non fu inquadrato nel sistema delle province, ma considerato possesso dell’imperatore e da lui direttamente governato: le grandi ricchezze provenienti da quelle terre, da cui Ottavio attingeva per finanziare le feste, i giochi, le donazioni alla plebe e ai soldati, che costituivano un ingrediente fondamentale del suo potere. Augusto attuò una politica di espansione decisamente più contenuta rispetto al passato. A Oriente l’azione principale fu l’intervento contro l’impero dei parti per il controllo dell’Armenia, mentre la campagna intraprese a Occidente fissarono il confine dell’impero lungo il Reno e il Danubio. Ma Augusto non aveva eredi, perchè sia che in famiglia fossero di salute cagionevole, sia che Livia (seconda moglie) facesse uso abbondante di veleno, i discendenti di sangue gli erano tutti morti. Così al trono di Roma, quel trono di cui nessuno ancora voleva ammettere l’esistenza, nel 14 salì Tiberio, figlio di primo letto di Livia. I romani in Svizzera c’erano fugacemente già stati in precedenza con le campagne nel 16 d.C. guidate allora dai generali Tiberio e Druso. I Romani vi avevano lasciate pochissime tracce di insediamenti, rarissime colonie, per il poco interesse che quelle terre avevano suscitato. Una zona allora totalmente forestificata, quasi tutta disabitata o arcaicamente abitata, che oggi chiamiamo Grigioni e sud Tirolo. Le popolazioni di quelle valli furono chiamate per la prima volta Reti e ancora oggi esiste un piccolissimo paese chiamato Retia (in italiano Resia). Claudio con la sua legione ripercorre questo sentiero e fonda una piccola colonia, Glorenza. Ma neppure lui morì di morte naturale: il folle Caligola, suo pronipote ed erede, nel 37 lo fece strangolare. Dopo quattro anni di crudeltà , i pretoriani dissero basta e scannarono Caligola all’uscita del circo. La famiglia stava estinguendosi. Non rimaneva che il maturo zio di Caligola, Claudio (41). Timido, zoppo e balbuziente, era in realtà un uomo clemente ed erudito. Diede impulso a grandi opere pubbliche. Quando l’incauta sposa (Valeria Messalina) cercò di rubagli il trono per regalarlo all’amante, dovette suo malgrado sopprimerla. Nel 42 si ha l’annessione della Mauritania, nel 44 della Giudea, nel 46 della Tracia. I romani erano venuti in contatto già nel 50 con i Briganti, una delle più famose tribù dell’isola di Gran Bretagna; che non era solo una piccola tribù ma una confederazione di tribù. A comandare questa nuova spedizione troviamo prima Ceriale e poi Frontino. Una campagna la prima che fu contraddistinta da numerosi e violenti scontri campali, mentre la seconda rivolgendo l’attenzione anche a occidente dell’isola riuscirono a soggiogare i Siluri, completando così la conquista del Galles. In questa zona i romani dovettero affrontare una popolazione che non era dedita all’agricoltura, il che impediva l’eventuale saccheggio alimentare che occorreva ai ribelli per vivere, ma erano tribù che vivevano esclusivamente di caccia o quanto trovavano nella selvatica vegetazione spontanea. Comparivano e scomparivano in luoghi diversi. Fu quindi necessario adottare una strategia, costruire una strada militare fiancheggiata lungo il suo corso da postazioni fortificate e da torri di guardia, poteva essere impiegata per isolare territori difficili e contribuiva al suo effettivo controllo, spostando velocemente da una posizione all’altra i soldati necessari. Agrippina ansiosa di spianare la strada al suo unico rampollo, il diciassettenne Nerone, la matrona si liberò in tutta fretta dell’anziano marito con una porzione di porcini avvelenati e prese il potere, nel 54. Non concesso alle donne di ricoprire in prima persona le cariche politiche, ma esercitarle attraverso mariti, figli e amanti, Nerone, accantonate le velleità teatrali, divenne imperatore. Il potere degli imperatori, in particolare con Caligola e Nerone, assunse caratteri molto autoritari. Inoltre furono introdotti nel cerimoniale di corte elementi tipici di venerazione per il monarca, secondo l’uso orientale: per esempio gli inchini e il bacio dei piedi. Per questo motivo Caligola fu ucciso in una congiura e Nerone fu rovesciato da una ribellione appoggiata dal Senato (68). Segui un anno di guerre civili, provocate dagli eserciti stanziati nelle diverse province, che tentarono di imporre come imperatore il proprio comandante. Alla fine del 69, con l’appoggio delle legioni d’Oriente, ebbe la meglio Vespasiano (69-79), che diede inizio alla dinastia dei Flavi. Vespasiano dovette inizialmente affrontare il problema della rifondazione del principato. Vespasiano, allora, rinnovò profondamente il Senato inserendovi molti esponenti delle classi ricche delle province e con il loro appoggio ottenne l’approvazione per una legge che definiva il potere del principe (legge di Vespasiano sul governo). In questo modo il principato non si basava più sul compromesso tra l’imperatore e il Senato di Roma, ma diventava un’istituzione dello Stato romano, riconosciuta dalla legge. Nel 70 distrusse Gerusalemme. Gli ebrei furono massacrati e i sopravissuti vennero deportati come schiavi dai Romani. Da allora gli Ebrei si sono dispersi nel mondo dando luogo alla cosiddetta diaspora (dispersione). Giulio Agricola nel 77 sbarca in Britannia. Con un attacco improvviso si impadronì perfino dell’isola di Mona, il covo dei Druidi. Nel 96 il Senato mise fine alla dinastia flavia con una congiura contro Domiziano e impose quale imperatore un proprio rappresentante: Nerva (96-98), dal quale ha inizi la dinastia degli Antonini. Con lui si affermò come principio di successione l’adozione del migliore: l’imperatore sceglieva come suo successore una persona di elevate qualità morali e politiche. Nerva sclse un abile generale spagnolo, Traiano (98-117), che fu il primo imperatore di origine provinciale. Egli fece giungere l’impero romano alla sua massima estensione nel quale 106 viene annesso il regno dei Natabei (attuale Siria e Giordania) che diviene la provincia dell’Arabia petra. Siamo ormai al tempo del massimo splendore della civiltà latina: sotto Traiano e Adriano (117-138), tutti gli abitanti liberi dell’impero godono della cittadinanza. Nell’urbe la gente mangia bene, prende il bagno tutti i giorni, e i più, donne comprese, sanno leggere e scrivere. Gli orfani sono mantenuti dallo Stato, i lavoratori hanno le ferie. Di laggiù, il cinese Figlio del Cielo saluta col nome di An-tun Marco Aurelio Antonino (116-180). Ma già l’economia ristagna, i barbari sono alle porte. Mentre Roma è all’apogeo, il tarlo della decadenza lavora implacabile sotto i marmi del Palatinato. Le 3 campagne di Marco Aurelio in Germania sono molto importanti, perchè sono le prime campagne fatte da un imperatore per ricacciare nella propria terra dei barbari che invadono il territorio romano. La prima delle 3 campagne militari condotte da Marco Aurelio incominciò nel 167, tutto a causa di 3 popoli: Catti, Longobardi e Obii, che mossero contro le quasi sguarnite frontiere dell’impero, non riuscendo ad oltrepassarle, ma comunque mettendo in seria difficoltà legionari e ausiliari stanziati sul limes a partire dall’Alto Reno fino al Medio Danubio. Dopo questi eventi tentarono la fortuna contro i Romani anche numerosi altri popoli, tra cui i Marcomanni, i Quadi, numerose altre popolazioni minori e in piccola parte anche i Vandali. Il gran numero di tutti questi popoli, insieme, aggiunto alla scarsezza delle difese romane, permise ai germani di attraversare il confine e di razziare tutto quello che trovavano sul loro cammino. Le notizie, come era ovvio, arrivarono a Roma con un po’ di ritardo, dovuto ai mezzi dell’epoca, e quindi Marco Aurelio partì da Roma solo il 15 maggio. Il 1 gennaio del 169 con un impero finalmente libero dai barbari morì Lucio Vero, mentre l’esercito vincitore tornava a Roma. Dopo aver celebrato i funerali di Lucio Vero e aver cercato di migliorare la situazione della popolazione, Marco Aurelio dovette ripartire verso nord per via delle terrificanti notizie che giungevano a Roma. Marco Aurelio decise che questa volta non era solo una legione ad attaccare, ma l’intero esercito dell’imperatore. Per questo motivo pose il suo quartiere generale in Pannonia, a Carnuntum, e da qui attaccò il territorio dei Quadi dove si stavano radunando diversi popoli. La sua strategia era quella di penetrare in profondità e di attaccare tutti i popoli uno alla volta, non permettendo ai barbari di allearsi e di formare un unico grande esercito; così affrontò, nell’ordine: Quadi, Svebi, Marcomanni, diverse tribù germaniche e Sarmati. Verso la metà dell’estate del 174 credeva di aver finito con la sua opera e pensava che i Germani avrebbero finalmente cessato di attaccare i Romani. La terza e ultima campagna militare in Germania comincia quando i Marcomanni riprendono a dare problemi ai romani sul confine, senza però riuscire a sfondare in gran numero; in ogni caso si richiede la presenza dell’imperatore. Marco Aurelio parte per la Germania nei primi mesi del 178. Marco Aurelio parti con 20.000 uomini e il figlio, alla volta di Carnuntum (nei pressi di Vienna), dove ad attenderlo c’è il grosso dell’esercito. Una volta arrivato scopre che non sono solo i Marcomanni ad attaccare, ma anche altri popoli, così deve affrontare nell’ordine: Sarmati, Buri, Ermunduri, Marcomanni e Quadi. Marco Aurelio si sbarazza velocemente di tutti i barbari che si oppongono alla sua avanzata e affonda nel territorio della Germania come un coltello caldo nel burro. Le condizioni poste per la nuova pace furono ancora più gravi delle precedenti e obbligarono i germani a ritirarsi nelle selve isolati in piccoli gruppi, e soprattutto a pagare tribuni immensi di oro, bestiame e schiavi. Marco Aurelio morì il 17 marzo del 180 d.C. di malattia, il quale invece lasciò come erede il figlio Comodo. Quest’ultimo si rivelò incapace di affrontare la crisi che cominciava a indebolire l’impero e governò in modo autoritario e dispotico. Pertanto suscitò un grave malcontento in particolare nelle classi elevati, che lo eliminarono infine con un complotto (192). Segui un periodo di lotte civili, dalle quali uscì vincitore Settimo Severo (193-211), proclamato imperatore dalle proprie legioni. Con lui ebbe inizio la nuova dinastia dei Severi (193-323), che basò la sua autorità prevalentemente sull’appoggio dell’esercito. A differenza degli imperatori precedenti, che avevano in genere cercato il consenso del Senato, i Severi lo relegarono ai margini della vita politica, instaurando una monarchia militare che, se non riuscì a bloccare la crisi dell’impero, ne difese però con successo il territorio. Nel 235, i soldati della Germania proclamano imperatore Massimino, il primo barbaro sul trono romano, fino al 258. Fu ucciso dai suoi soldati. I barbari entravano sempre più nelle file degli eserciti romani. L’impero raggiunse proporzioni non più governabili. Il tentativo di arginare la crisi dell’impero fu compiuto da Diocleziano (285-305). Per cercare di rendere governabile l’impero e di regolamentare la successione imperiale, Diocleziano lo divise in due parti, l’Oriente e l’Occidente. Le due parti dovevano essere governate da due augusti, affiancati da due collaboratori, detti cesari; dopo vent’anni i due cesari sarebbero succeduti ai rispettivi augusti, scegliendo a loro volta altri due cesari. Per i Germani le fertili pianure e le ricche città dell’impero costituiva un forte polo di attrazione. Fin dal II secolo i romani dovettero fronteggiare periodiche incursioni di tribù germaniche all’interno dei propri confini. Erano spedizioni che avevano come obiettivo il saccheggio e la razzia. Non si trattava di autentici tentativi di invasione, perchè i barbari, dopo aver fatto bottino, tornavano alle loro sedi e non avevano intenzione di stanziarsi in territorio imperiale. Queste misure non riuscivano a frenare le incursioni barbariche. Soltanto a partire dalla seconda metà del III secolo l’impero ridiede una ceta sicurezza alle terre di confine, dapprima con una serie di vittoriose campagne militari. Inoltre furono arruolati, con crescenti frequenza, dei volontari barbari. Per tenere a freno le incursioni germaniche, l’impero cominciò a ricorrere alla diplomazia piuttosto che alle armi. Sempre più spesso concesse l’ingresso pacifico di tribù germaniche in territorio romano. Alla fine del III secolo colonie di prigionieri barbari furono insediati ad opera dello stesso impero. La condizione di questi coloni era quella di contadini-soldato al servizio dell’impero. Contemporaneamente l’impero avviò una politica di alleanze con tribù germaniche insediate a ridosso dei propri confini. Esse mantenevano la propria indipendenza, ma si impegnavano a difendere i confini dell’impero da incursioni esterne, in cambio di denaro e di eventuale aiuto o protezione militare. Questi popoli presero il nome di federati dell’impero. Teodosio (383-395) formalizzò anche la divisione dell’impero in due parti, assegnando al figlio Arcadio la parte orientale e a Onorio la parte occidentale. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Sab Giu 26, 2010 1:53 am | |
| Prendendo in esame questa diversità di alimentazione attraverso il tempo, immaginiamoci quindi di fare un bel salto indietro nel tempo e di ritrovarci nello stesso luogo da dove siamo partiti, ospiti di un banchetto all'interno di una domus romana. Quali saranno i piatti che ci saranno serviti? Avranno sapori ed aromi a cui siamo abituati oppure resteremo inorriditi soltanto alla loro vista? Sicuramente dipenderà dal tipo di occasione per cui saremo invitati a partecipare alla mensa del nostro ospite; in effetti, pensando all'epoca romana si è portati a pensare erroneamente, che i Romani fossero dediti a continue orge e a monumentali banchetti come vengono descritti quelli di Nerone e di Trimalcione. In primo luogo occorre puntualizzare che gran parte della popolazione non avendo a disposizione tutte le comodità di cui disponevano le famiglie dei ricchi, per mangiare doveva arrangiarsi e molto spesso i pasti venivano consumati per strada; molto diffuse erano le taverne (caupona) e i venditori ambulanti, i quali vendevano un po di tutto e per lo più olive, pesci in salamoia, pezzetti di carne arrosto, uccelli allo spiedo, polpi in umido, frutta, dolci e formaggio. Di solito il pasto medio di un povero era composto da un pezzo di pane e da piccoli pesci in salamoia accompagnati da un bicchiere d'acqua o di vino tra i più scadenti. I momenti della giornata dediti al soddisfacimento dei bisogni della gola erano in linea di massima tre: il Jentaculum o prima colazione; il prandium, o pranzo di mezza giornata e la cena ovvero il pranzo di fine giornata.. Il Jentaculum e il prandium di solito erano ridotti a un misero spuntino consumato in fretta e furia durante le varie attività che caratterizzavano la giornata lavorativa e la loro importanza era talmente minima che frequentemente uno dei due veniva addirittura saltato. Il pasto più importante della giornata era la cena; era in questa occasione che l'uomo romano poteva assaporare i vari piatti più o meno elaborati, comodamente disteso sul triclinae e conversare con i suoi convitati. Alla cena ci si recava di solito dopo aver fatto il bagno alle terme, dove, tra l'altro si aveva l'occasione di incontrare i propri conoscenti e invitarli alla propria mensa, infatti le terme erano anche il ritrovo di molti sfaccendati che vi si recavano con la speranza di ricevere un invito da qualche amico.LA CENASchema di disposizione di un triclinium Plinio e Marziale ci descrivono l'inizio della cena dopo l'ora ottava in inverno (circa le ore due del pomeriggio) e dopo l'ora nona in estate e aveva fine (a seconda delle proporzioni della cena) prima che fosse notte fonda. Il pasto era consumato in un luogo ben preciso della casa, chiamato triclinium, nome dovuto alla presenza in questa stanza di alcuni letti a tre posti (triclinia, dal greco Klinai, letto) sui quali si stendevano i convitati. I triclinia erano delle superfici in legno o in muratura , leggermente inclinate verso la parte esterna della mensa, sulle quali venivano distesi materassi, coperte e cuscini. I convitati vi prendevano posto, tre per ogni letto, distesi su un fianco, uno accanto all'altro in modo da avere di fronte il tavolo; stavano appoggiati sul gomito sinistro e con il braccio destro portavano i cibi alla bocca. Il primo letto da sinistra verso destra era chiamato summus, il secondo, cioè quello centrale e d'onore era chiamato medium e l'ultimo , quello di destra era l'imus, il posto dove di solito era disteso il padrone di casa ; stessi nomi erano dati ai tre posti che componevano il letto: locus summus, locus medium e locus imus, fatta eccezione per il posto dell'ospite d'onore, chiamato locus consularis. Appena lo schiavo che annunciava gli invitati (nomenclator) aveva sistemato comodamente i partecipanti alla cena, i servitori (ministratores) iniziavano a portare i piatti, che potevano essere piani (patina o patella) o fondi (catinus), i bicchieri senza manico o poculum o le coppe e altri strumenti come coltelli, stuzzicadenti ecc. I convitati alle cenae mangiavano con le mani e non utilizzavano le posate; soltanto in caso di pietanze liquide o cremose, erano muniti di cucchiai di varie forme fra i quali i più utilizzati erano la ligula, o cucchiaio classico e la trulla , o mestolo. Proprio in conseguenza del maggiore utilizzo delle mani, alla fine di ogni portata i servi provvedevano al loro lavaggio prima di passare al piatto successivo. Molti convitati usavano portare da casa alcuni tovaglioli che oltre a essere usati come tovaglia, servivano per portare a casa gli avanzi del pasto o i doni (apophoreta) a volte distribuiti dal padrone di casa.La cena iniziava con gli antipasti o gustatio, i quali erano formati da cibi leggeri come le olive, le immancabili uova, porri, funghi, ostriche e varie verdure, accompagnate da vino con miele (mulsum); proseguiva con la cena vera e propria, composta di varie portate, chiamate ferculum. Dopo le libagioni in onore dei Lari la fase conclusiva della cena era formata da dessert (secundae mensae) e dal rito tradizionale della commissatio, diffusa più frequentemente nei grandi banchetti, che consisteva in una grande bevuta generale di vino sottoposta a regole ferree, durante la quale si assisteva anche a piccoli spettacoli, concerti o letture. Triclinium (Pompei) I CIBI Dopo aver descritto sommariamente i tre momenti che caratterizzavano i pasti durante la giornata dell'uomo romano, occupiamoci più in particolare dei cibi e di come venivano preparati. La cucina degli antichi romani era assai semplice e con pasti molto frugali. Il nutrimento essenziale era rappresentato dalla polenta di frumento (puls o pulmentus), da legumi (fave, ceci, lenticchie), da farro e da ortaggi. Nella preparazione della polenta, veniva utilizzato principalmente il farro (far) che era in linea di massima il cereale più coltivato in quel periodo; più tardi vennero utilizzati anche miglio, panico, orzo, la farina di fave o di ceci. In ogni caso il prodotto più utilizzato restava il farro che poteva essere cotto sia in grani interi, sia macinato o frantumato nel mortaio e ridotto in polvere assumendo l'aspetto di ciò che noi chiamiamo farina (da far, farro). La polenta era preparata in un contenitore di terracotta detto pultarium dove al farro trattato si aggiungeva acqua, sale e un po di latte e a seconda dei gusti veniva arricchito con fave (puls fabata), cavoli, cipolle, formaggio (puls caseata) ed anche con alcuni pezzi di carne o di pesce; tutto ciò per darle un sapore più ricco, fino ad arrivare ad un vero e proprio miscuglio che conteneva un'infinità di ingredienti chiamato satura o satira ( da cui l'utilizzo moderno di queste due parole: saturazione e satira nel senso di battute o scherzi pesanti), che portava in breve tempo alla sazietà di chi lo mangiava. Con l'arrivo del pane sulle tavole, la polenta, che era stata l'alimento base per molto tempo, vide diminuire la sua importanza. Vi erano tre tipi di pane: il pane nero o pane dei poveri (panis plebeius o rusticus), il pane bianco anche se poco migliore del primo (panis secundarius) e il pane bianco di farina finissima o pane dei ricchi (panis candidus o mundus); il grano con cui era fatto arrivò ad avere un'importanza primaria, e i Romani arrivarono perfino alla promulgazione di leggi che regolavano la corretta distribuzione di questo prodotto ( cura annonae, lex Clodia, lex Sempronia frumentaria); furono organizzati speciali servizi di approvvigionamento, facendo arrivare il grano via mare da zone lontane, depositandolo in magazzini speciali per la successiva distribuzione alla popolazione sotto forma di grano in chicchi oppure come avvenne in un secondo momento, direttamente in pani già cotti.Il pesce era un cibo molto diffuso, sia di fiume che di mare, sia quello allevato in grandi vivai (vivaria). I pesci utilizzati nella cucina romana erano di circa 150 specie, si andava da quelli delle tavole dei ricchi (orate, triglie, sogliole, dentici, trote ecc.) a quelli delle tavole dei poveri, più piccoli, di basso prezzo, di solito conservati in salamoia (menae, gerres ecc.). Molto richiesti erano anche aragoste, polpi, datteri, gamberi e ostriche. Le ostriche (ostrea) che Plinio definiva il "vanto delle mense opulente" erano molto ricercate infatti molti ricchi avevano allevamenti personali, in modo che questo prezioso alimento non mancasse mai alla loro mensa; per questo frutti di mare era stato fabbricato uno speciale cucchiaio a punta (cochler) con cui si aprivano e si vuotavano. Anche se nella mensa romana erano più frequenti piatti a base di pesce, anche la carne aveva una sua importanza. Le carni più utilizzate erano quelle di bue e di maiale, ma non era raro trovare anche carne di cervo, di asino selvatico (onager), di cinghiale e di ghiro; di quest'ultimo, molto ricercato nelle tavole dei ricchi, esistevano anche alcuni allevamenti (gliraria) e veniva servito di solito disossato e farcitoMolto utilizzata anche la carne di uccelli. Oltre alle specie classiche ancora da noi utilizzate (tordi, piccioni ecc.), venivano cucinati anche alcuni trampolieri in gran parte importati dalle varie regioni dell'impero, come i fenicotteri (se ne gustava in modo particolare la lingua), le cicogne e le grù. Piatto molto ricercato era quello a base di carne di pavone e di fagiano. In quanto al pollo, di cui oggi facciamo molto uso, era considerato carne poco pregiata e la si trovava per lo più nell'alimentazione dei poveri. La carne veniva cucinata in moltissimi modi: arrosto, in umido e ripiena, con salse di vario genere. Le uova , di cui si preferiva la chiara al tuorlo, erano come si è detto molto apprezzate come antipasto o consumate rapidamente durante la giornata (Jentaculum e prandium). Dal latte si ricavavano formaggi freschi e secchi e dolci con aggiunta di miele, farina e frutta; il burro era poco utilizzato in cucina in quanto era usato come medicinale o come unguento per il corpo. Nelle opulente mense dei ricchi, in occasione di grandi banchetti i piatti di carne o di pesce, venivano preparati nei modi più fantasiosi; era in queste occasioni che i cuochi sfoderavano la loro arte culinaria, servendo in tavola piatti a base di carne camuffati in modo che avessero l'aspetto di uno stupendo pesce alla griglia o sotto forma di vere e proprie sculture a tema mitologico. Molto famosi sono i piatti serviti nell'ormai epica cena di Trimalcione, descritta da Petronio nel "Satiricon" e rievocata alcuni secoli dopo da Macrobio. Qui vengono serviti alcuni piatti dall'aspetto esageratamente fantasioso che però rispecchia il modo a volte sfacciato di alcuni ricchi romani, di ostentare la loro magnificenza; fra questi pi atti viene servita una lepre con le ali in modo da raffigurare Pegaso, il cavallo alato di Bellerofonte, e una scrofa di cinghiale ripiena di tordi vivi con tanto di cinghialini, fatti di pasta, nell'atto di succhiare alle mammelle della madre.
IL GARUMLa città di Pompei era una delle maggiori produttrici di garum L'arte del saper cucinare non consisteva solo nel saper mascherare l'aspetto di un cibo, ma anche il suo sapore (anche perchè i cuochi dell'epoca non disponendo dei moderni frigoriferi dovevano mascherare il sapore un po rancido di alcuni cibi non proprio freschi), questo veniva ottenuto con l'utilizzo di varie salse composte con ingredienti che avevano poco a che vedere con la pietanza principale del piatto; ad esempio l'aggiunta di salse di pesce o di frutta spiaccicata su ricette a base di carne. Fra queste la più importante era il garum (dal greco garon che era la specie di pesce utilizzata) o liquamen, una sorta di salsa ottenuta dalla macerazione sotto sale di interiora di pesce con olio, vino, aceto e pepe; lasciata a riposo per una notte in un recipiente di terracotta e messa all'aperto, al sole, per due o tre mesi, rimescolata ogni tanto in modo da farla fermentare; quando la parte liquida si era ridotta per effetto del sole, si inseriva un cestino, il liquido che filtrava era la parte migliore e cioè il garum, la restante parte, lo scarto, era l'allec, la salsa secondaria. Il garum, avrebbe sicuramente avuto, per i nostri gusti, un odore ed un sapore nauseabondo, anche se questo era già riconosciuto da personaggi dell'epoca, infatti Marziale, per descrivere un certo Papilo, un individuo repellente , in uno dei suoi "Epigrammi" dice: "Unguentum fuerat, quod onyx modo parua gerebat: olfecit postquam Papylus, ecce, garumst."(era un unguento profumato quello contenuto fino a poco fa in un vasetto di onice; dopo che l'ha annusato Papilo, ecco, è garum). Il garum era di solito un liquido chiaro dall'aspetto dorato, che si conservava bene in anfore e veniva utilizzato per aggiungere un gusto saporito alle pietanze; era presente in quasi tutti i piatti e se saputo d osare, faceva la fortuna di molti cuochi. L'industria del garum era molto sviluppata nel Mediterraneo, quello più pregiato veniva prodotto in Spagna e aveva un prezzo molto elevato, tanto da essere paragonato al più caro dei profumi nonostante il suo acre o dore; veniva importato via mare in anfore con tanto di marchio del produttore e di anno di produzione. Una grande produzione veniva effettuata anche nella nostra penisola, di prim'ordine era quello prodotto a Pompei (officina del garum degli Ombricii). VINO E OLIO FRUTTA E VERDURE Per quanto riguarda le verdure, si consumavano: lenticchie, fave, ceci, piselli, lattughe, cavoli, carote, rape, cipolle, zucche, carciofi e asparagi (più rari), cetrioli, erbe lassative come malve e bietole, menta e funghi (boleti) i quali erano molto ricercati. Le olive erano sempre presenti sia sulle tavole dei ricchi che su quelle dei poveri. L'olio di oliva fu una delle maggiori componenti dell'alimentazione dei Romani, usato anche per la medicina e per l'illuminazione; se ne trovava di varie qualità: L'olio vergine di prima spremitura (oleum flos), l'olio di seconda qualità (oleum sequens) e l'olio comunemente usato (oleum cibarium). Il consumo medio di olio di un cittadino romano era di circa 2 litri in un mese; Roma faceva la parte del leone in quanto è stato verificato che il Monte Testaccio ( un'autentica montagna artificiale formata da frammenti di anfore) è composta essenzialmente da resti di anfore olearie, in gran parte provenienti dalla regione della Betica (Spagna meridionale) che era il più grande esportatore di olio dell'epoca. La frutta era costituita da mele (mala), pere (pira), ciliege (cerasa), susine (pruna), noci, mandorle (nux amygdala), castagne, uva (fresca e passa) e pesche. Dall'Armenia giungevano le albicocche che venivano utilizzate spesso spiaccicate, ricavandone una salsa che accompagnava molti piatti di carne. Dall'Africa arrivavano i datteri (dactyli). La frutta oltre che consumata fresca veniva utilizzata anche per ricavarne marmellate ed era un componente importante per la preparazione di dolci.
anfora da vino Il vino aveva un'importanza particolare per i Romani in quanto era la bevanda più amata e concludeva tutte le cene. Veniva prodotta sia la qualità rossa (vinum atrum), sia la qualità bianca (vinum candidum), er commerciato in larga scala e addirittura si formarono anche alcune cooperative per la vendita di questa bevanda ( collegium); a Roma è stata verificata l'esistenza di un porto e di un mercato attrezzati essenzialmente per la vendita del vino ( portum vinarium e forum vinarium).Il Vino era raramente limpido e veniva di solito filtrato con un passino (colum), si beveva quasi sempre allungato con acqua calda o fredda (in inverno a volte anche con neve) in modo da ridurne la gradazione alcolica di solito da 15/16 a 5/6 gradi. I tipi più pregiati erano il Massico e il Falerno (dalla Campania), il Cecubo, il Volturno, l' Albano e il Sabino (dal Lazio) e il Setino; i più scadenti erano il Veietano (come tutti i vini dell'Etruria era considerato di qualità scadente), quello del Vaticano e quello di Marsiglia ( i vini della Gallia narbonese venivano affumicati e spesso contraffatti ); vi erano anche alcuni vini resinati, ma considerati di cattiva qualità in quanto la resina si aggiungeva ai vini più scadenti in modo che si conservassero più a lungo. Sulle anfore utilizzate per il trasporto era impressa in una targhetta (pittacium) l'origine e la data di produzione per tutelare l'acquirente, anche se già in quell'epoca esistevano casi di adulterazione; ad esempio in una ricetta di Apicio si insegna a trasformare il vino rosso in bianco. I vini aromatizzati sono indicati sotto il nome di Aromatites, di Mirris, uno dei più apprezzati. Si aveva infatti l'abitudine di fare un vino aromatico, preparato all'incirca come i profumi, prima con mirra poi canna, giunco, cannella, zafferano e palma. Il Gustaticiumè un vino aperitivo che si beve a digiuno prima del pasto, era un vino al quale si aggiungeva miele. Infine erano ricchi di vini medicinali, si mescolava vino e miele e il prodotto era chiamato Mulsum. Il Passumera un vino fatto con uve secche ma che serviva per i malati. Certe famiglie pompeiane si erano specializzate nella viticoltura e facevano invecchiare nelle cantine le anfore di mulsum.I vini invecchiati (quelli che avevano passato l'estate successiva alla data di produzione) erano di grande pregio sulle tavole dei ricchi Romani, i quali li ostentavano nei loro banchetti. Esistevano anche surrogati del vino come la lora, ricavata dall a fermentazione delle vinacce con acqua subito dopo la vendemmia e la posca, formata da acqua e vino inacidito (acetum). Il consumo del vino ebbe la sua espansione in epoca imperiale per lo più nelle zone di produzione e nelle grandi città come Roma dove per le enormi esigenze dovute all'alta densità della popolazione portarono anche ad una distribuzione gratuita di questa bevanda (imperatore Aureliano, ultimi decenni del III sec. d.C.) e al conseguente afflusso di grandi quantità di vino sia italico che di importazione. I prezzi andavano dai 30 denari al sestiario (0,54 l) per i vini pregiati (falernum, sorrentinum,Tiburtinum), ai 16 denari al sestiario per i vini di media qualità, agli 8 denari per i vini di basso pregio. Il consumo medio di vino in un anno è stato calcolato in 140 - 180 litri a persona, questo grande consumo si pensa che sia dovuto anche al grande apporto calorifero che dava alla dieta romana costituita in gran parte da cereali e vegetali.
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| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mar Giu 29, 2010 11:19 pm | |
| Credo che il "successo " degli antichi Romani risiede nello sfruttamento degli schiavi che erano numerosissimi e lavoravano "gratis" nei latifondi ,nell'atigianato,nelle miniere ,nell'esercito... | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mar Giu 29, 2010 11:35 pm | |
| beh, se al giorno d oggi mi proponessero di mangiare quelle "bontà" condite col garum.......sarei in linea come una top model......una libellula! | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 30, 2010 12:05 pm | |
| Certo ...avresti il vitino da vespa...(e forse anche il pungiglione)...Ma il Garum non era usato come medicinale dimagrante ! Plinio il Vecchio in Naturalis historia (pagine 31, 93 e seguenti), enumera il garum fra le sostanze saline, come un liquor exquisitus ottenuto dalla macerazione di interiora di pesce: da qui nasce l’aneddoto che il garum sia "pesce marcio di materie in putrefazione", perché se non si metteva abbastanza sale invece che una fermentazione si otteneva una puzzolente putrefazione. Plinio disse anche che il garum più buono è il garum sociorum, fatto con gli sgombri e proveniente dalla Spagna, prodotto da una società tunisina di origine fenicia, che esportava soprattutto in Italia. Questo era costoso come un profumo. Anche in Italia, in Campania, a Pompei, Clazomene e Leptis Magna esistevano fabbriche famose di garum. Si commerciavano anche una specie di garum senza condimenti, il gari flos, e una specie fatta di pesce a scaglie, il garum castimoniale. Il garum sociorum essendo essenzialmente una salamoia satura in cloruro di sodio in presenza di enzimi proteolitici, oltre a essere un buon digestivo, presentava qualità disinfettanti, (paragonabili alla tintura di iodio e a blandi antinfiammatori). Dunque veniva usato come medicinale contro la scabbia degli ovini, le ustioni recenti, i morsi dei cani e del coccodrillo, per guarire le ulcere, la dissenteria e i malanni delle orecchie. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| | | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 30, 2010 11:03 pm | |
| Sai che non mi ero accorto del pungiglione? Ma a parte gli scherzi,non penso che il garum avesse un odore orribile...del resto anche noi usiamo cibarci di cose non proprio profumate (gorgonzola,formaggi stagionati,alici salate,frittura di pesce,baccalà........) | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Giu 30, 2010 11:13 pm | |
| giusto al, infatti io ho parlato di me.....sinceramente non credo sia una leccornia l intestino dei pesci messo a macerare con sale ecc, esposto al sole x due o tre mesi e fitrato....non l ho inventato io questo passaggio... - Citazione :
- per i nostri gusti, un odore ed un sapore nauseabondo,
magari tra duemila anni...i nostri posteri diranno la stessa cosa dei cibi ke hai elencato tu! | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Gio Lug 01, 2010 9:04 am | |
| Ma certo Jul ,capisco e condivido quello che hai scritto del garum.Anche a me le interiora fanno un pò senso (schifo).Sul garum è da dire che era di due tipi :la parte liquida e quella solida. Per venire ai giorni nostri devo dirti che a Cetara (sulla costiera amalfitana) c'è una tradizione di preparazione di alici salate proprio buone,ma quello che è ritenuto più speciale è il liquido che si forma (chiamato in dialetto "colatura") . La colatura viene raccolta ed utilizzata come salsina e condimento di piatti tipici della zona. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| | | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Gio Lug 01, 2010 5:32 pm | |
| Si,le alici vengono "pulite" eliminando la testa e le interiora.Cosa che non fanno i calabresi quando preparano una salsa con alicette intere ,pomodoro,olio,sale e molto peperoncino. Non credo che il garum fosse preparato SOLO di interiora, Nella cucina meridionale le interiora si sono sempre utilizzate.Ti riporto una ricetta lucana.... Cazmarr O Marretto Di Agnello Alla Lucana Preparazione: Lavare accuratamente in acqua tiepida le coratelle di agnello, asciugarle e tagliarle a striscioline lunghe il più possibile. Lavare pure accuratamente la retina di agnello in acqua calda, asciugarla e distenderla sul tagliere. Sistemare sulla retina le striscioline di coratella, il peperoncino, salare, pepare e cospargere di prezzemolo ed aglio finemente tritati; appoggiare qua e là qualche pezzettino di formaggio fresco e di prosciutto. Spolverizzare tutto con una manciata di formaggio pecorino grattugiato ed avvolgere gli ingredienti nella rete in modo da ricavare un polpettone di circa cinque centimetri di diametro e lungo circa cm. 20. Lavare le budelline d'agnello, prima in acqua tiepida e successivamente in un po' di vino bianco; attorcigliare le budelline, ben scolate, attorno al polpettone fermandole ogni tanto con un nodo perchè la preparazione resti ben sigillata. Ingabbiare il polpettone così confezionato fra quattro lunghi e robusti stecchi, fermandoli con dello spago; ungere il «cazmarrà» con abbondante olio d'oliva e metterlo in una teglia pure oliata. Porlo in forno già caldo (150°), lasciarlo cuocere per circa due ore rigirandolo di tanto in tanto ed irrorandolo con qualche cucchiaiata dell'intingolo che si sarà formato sul fondo del recipiente. A cottura ultimata levare gli stecchi e lo spago, tagliare il polpettone a fette e servirlo. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Gio Lug 01, 2010 5:36 pm | |
| si al, ma ora stiamo uscendo dal seminato.... x quanto rigurda il garum....non c ero x poter affermare con certezza quali fossero gli ingredienti, mi sono fidata di quello ke ho trovato in rete. | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Gio Lug 01, 2010 6:26 pm | |
| Lo so jul,cercavo solo di dire che dalla cucina dell'antica roma alcune pietanze sono arrivate fino a noi.Anch'io sono andato a cercare sul web la ricetta del garum,ma sembra che ci sia molta incertezza. L'argomento che hai scritto mi ha molto interessato. Ora non puoi scrivere qualcosa sulla schiavitù nella antica Roma?La nascita,la massima diffusione e l'abolizione (se c'è stata.) | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Gio Lug 01, 2010 6:52 pm | |
| beh al, non è mia proprietà il topic....ma anzi l esatto contrario...quindi xkè non lo scrivi tu? mi farebbe piacere. almeno tutte le ore ke ho passato a leggere e spulciare in rete, (non sono istruita come rem, poi lui essendo faraone.....) non sono state spese x nulla come sembra sia fin ora, a giudicare dagli interventi quasi nulli. | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Gio Lug 01, 2010 9:33 pm | |
| Va bene Jul ...comincio io...Rem,mi dai lo start ? Jul però non puoi tirarti fuori,mi aspetto che interverrai con integrezioni e contributi. A presto, attendo ok di Rem,preavvisando che mia idea è che ancora oggi,nel terzo millennio la schiavitù esiste e come....anche nel nostro bel paese. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Ven Lug 02, 2010 12:11 am | |
| no al, non mi tiro fuori, ho già pronto qualcosa sulla condizione della donna a quell epoca.....e poi ho in mente di scrivere una cosa ke di femminile non ha proprio nulla. però non allontaniamoci troppo dall argomento e dall epoca.....i cokki reali di rem, sono affamati, magari ci gradiscono pure con un po di garum..... | |
| | | Remigio
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Ven Lug 02, 2010 12:19 am | |
| va bene Al puoi procedere con il post sulla schiavitù. Brevemente voglio dire che la schiavitù nel tempo antico deve essere giudicata secondo la morale dei tempi e vista come una necessità e un male minore. Nel mio regno la schiavitù, come la intendevano i romani, non era possibile per vari motivi, economici e militari. I romani avevano regolamentato la schiavitù ed erano in grado di controllarla con un formidabile apparato militare. Inoltre i romani si avvalevano degli schiavi non solo per umili lavori ma anche prestazioni professionali di alto livello. Infine lo schiavo di Roma aveva la possobilità di affrancarsi e diventare persona libera. In sostanza mi pare, a titolo di esempio, che la condizione di schiavo in antica Roma fosse infinitamente migliore dell'equivalente condizione nella rozza e brutale società nordamericana del XIX secolo. | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Sab Lug 03, 2010 3:03 pm | |
| Grazie Rem,certo,la schiavitù del sud degli stati uniti è stata unperiodo tragico della storia dell'umanità. Scriverò qualcosa del periodo degli antichi Romani. Mi sembra opportuno iniziare con una breve premessa relativa alla schiavitù dell'epoca pre romana. | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Sab Lug 03, 2010 3:18 pm | |
| La schiavitù è stata una componente essenziale dello sviluppo del mondo antico durante tutta la sua storia. Era considerata dagli antichi non solo come indispensabile, ma del tutto naturale: gli stessi Stoici o i Paleocristiani non lo rimetteranno mai in causa. Lo schiavo era un individuo privato della libertà e sottomesso ad un proprietario il quale aveva la facoltà di comprarlo, venderlo o affittarlo, esattamente come un bene.o un animale domestico. Non esistevano attività propriamente lasciate agli schiavi: qualsiasi mansione poteva essere svolta da uno schiavo, eccetto la politica, la sola attività sulla quale i cittadini detenevano il monopolio – o meglio, per i greci, la sola attività che fosse degna d’un cittadino; i rimanenti ruoli dovevano essere lasciati il più possibile ai non-cittadini. La cosa veramente importante era lo stato sociale, non il tipo di attività svolta L’attività che vedeva impiegati il maggior numero di schiavi era l’agricoltura,nelle miniere , nelle cave, e nelle costruzioni ,il lavoro degli schiavi era di gran lunga il più importante. Vi erano vaste popolazioni di schiavi , spesso affittati da ricchi privati. Gli schiavi erano utilizzati anche nell’artigianato. Alla maniera dell’agricoltura, si ricorreva ad essi solo se la mole di lavoro non era più sostenibile dal nucleo familiare. Nel campo militare c'era un largo impiego degli schiavi di sesso maschile.Le schiave venivano per lo più utilizzate come prostitute o concubine,spesso erano mogli di schiavi. Infine, gli schiavi sono presenti anche in casa. Il ruolo dello schiavo domestico è quello di rimpiazzare il padrone di casa nei suoi mestieri e accompagnarlo nei suoi tragitti e viaggi. In tempo di guerra egli era il servitore del suo padrone. Una o più schiave si occupavano invece di faccende domestiche, in particolare della preparazione del pane , la fabbricazione di tessuti,fare da ancella alla padrona Solo i più poveri non avevano degli schiavi domestici. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Dom Lug 04, 2010 7:50 pm | |
| La condizione schiavile nella Roma antica Lo schiavo è una cosa, una res vivente, uno "strumento o animale parlante". Lo è dal IV millennio a.C., a partire dalle civiltà egizie e sumera.In latino schiavo si dice servus, ma gli storici, per distinguere il feudalesimo dallo schiavismo, usano "schiavo" per l'economia schiavile rivolta al mercato, e "servo" per indicare l'economia di sussistenza basata sul servaggio o servitù della gleba. Finito il feudalesimo, la parola "servo" stava ad indicare una qualunque persona libera che prestava un servizio.Nella civiltà romana la condizione di schiavo rientrava in quella più generale dipendenza che il cittadino romano riservava allo straniero, l'uomo alla donna, il padre al figlio.Si diventava schiavi sostanzialmente per due motivi:
- sconfitta militare: i prigionieri di guerra, caduti in proprietà dello Stato, venivano venduti al miglior offerente;
- indebitamento: chi non poteva pagare i propri debiti diventava proprietà del creditore, dopo il relativo periodo di prigionia, oppure veniva venduto sui mercati di Trastevere.
Ma lo si poteva diventare anche a seguito di un naufragio o di una pena che comportasse la perdita della libertà personale (p.es. l'assassinio o la renitenza alla leva o l'evasione fiscale), a meno che non si accettasse l'esilio. La gente povera spesso finiva schiava anche per reati minimi, se non poteva pagare una pena pecuniaria. E non si devono dimenticare le persone rapite dai pirati o dai briganti per essere poi vendute, né i bambini che venivano abbandonati (perché non riconosciuti dal padre) o venduti dalle famiglie povere, o si trattava di esiliati politici che emigravano a Roma per porsi in servitù, o quelle tribù nordiche che facevano la stessa cosa, spinte dalla fame o dalla carestia.Da ultimo non si può non considerare che un commercio estero, internazionale, di schiavi esisteva anche prima che i romani diventassero una grande potenza. La compravenditaGli schiavi venivano venduti nelle botteghe, sui mercati o nel Foro, sotto la sorveglianza di appositi magistrati, a tutela dei rilevanti profitti statali. Generalmente stavano su un palco girevole, con al collo un cartello che indicava la nazionalità, le attitudini, le qualità, i difetti. Quelli provenienti d'oltremare erano riconoscibili per un piede tinto di bianco e i soldati vinti per una coroncina in testa. Schiavi scelti e costosi venivano mostrati in sale chiuse a ingresso controllato.I prezzi variavano a seconda dell'età e delle qualità (intelligenza, cultura, forza fisica ma anche bellezza, buona dentatura, capacità di suonare o cantare, parlare greco) e si aggiravano sui 1.200-2.500 sesterzi (a fine repubblica un sesterzio equivaleva a circa 2 euro).Anche ai romani di mezzi modesti piaceva avere uno schiavo al proprio servizio, perché non averne neppure uno era indizio di degradante miseria. Molti ricchi romani possedevano da 10.000 a 20.000 schiavi.I romani più ricchi potevano anche acquistare stare per rivenderli o cederli a grosse imprese in cambio di un affitto. Sotto questo aspetto alcuni arrivarono persino ad allevarli. Le mansioninon sto a postare molto su questo punto, xkè al, l ha già fatto...descrivo però quelli più fortunati....Le categorie privilegiate di schiavi erano quelle destinate al servizio domestico (cuochi, camerieri, gli addetti alla toeletta dei padroni, alla cura e all'educazione dei loro figli, alla pulizia della casa e della suppellettile, degli indumenti, gli amanuensi e postini), nonché quelle che aiutavano il padrone nelle attività commerciali (tesoriere, contabile, addetto alla tenuta dei libri), oppure gli schiavi intellettuali, quali pedagoghi, medici e chirurghi, bibliotecari, senza tralasciare gli addetti a scuderie e cavalli.In genere gli schiavi provenienti dall'oriente ellenistico erano adibiti a funzioni domestiche (anche come maestri dei figli dell'aristocrazia) o artigianali cittadine, perché meno robusti e più acculturati dei loro colleghi italici, germanici, iberici. I dirittiLo schiavo, per definizione, non aveva alcun diritto, ma solo responsabilità penali. Non poteva possedere cose personali, cioè se poteva comprare qualcosa non poteva però disporre come fosse di sua proprietà. Se aveva moglie e figli, il suo padrone poteva venderli senza nessun problema.Lo schiavo restava tale anche se per un evento qualunque cessava di avere un padrone.Lo schiavo, di regola, non poteva sposarsi (Catone il Vecchio fu l'unico a permettere, tra i suoi servi, rapporti sessuali a pagamento intascandone il prezzo), non poteva essere difeso dalla legge o ascoltato in un tribunale. Tuttavia, nel corso dell'impero i padroni di schiavi tendevano a permettere a quest'ultimi la possibilità di una stabile vita di coppia. E' altresì noto che i padroni avevano maggiori riguardi per gli schiavi nati in casa.Gli schiavi che ritenevano ingiusto il padrone potevano rifugiarsi in Campidoglio ed esporre le proprie ragioni, ma non si ha notizia di padroni puniti. Gli veniva concesso asilo se si rifugiava presso un tempio, ma al massimo poteva passare di proprietà da un padrone a un altro. Se un cittadino uccideva uno schiavo altrui, non incorreva a una sanzione penale ma solo amministrativa, cioè pagava una sanzione monetaria corrispondente al valore dello schiavo.La legge Giulia aveva altresì stabilito che non poteva esservi adulterio o stupro se non tra persone libere. Molti giovani schiavi venivano usati a scopi sessuali.Però la lex Petronia proibiva al padrone di dare lo schiavo in pasto alle belve senza una sentenza del giudice.Il diritto romano non riconosceva agli schiavi un culto religioso proprio, ma gli si consentiva di esercitare alcuni riti secondo i costumi originari.Gli schiavi di città erano sicuramente più liberi di quelli di campagna: potevano frequentare le osterie, i bagni pubblici, il circo...A volte capitava che per esigenze particolari (guerre, ordine pubblico) si accettassero arruolamenti negli eserciti da parte di schiavi e barbari: in tal caso lo schiavo otteneva subito la libertà e il diritto a sposare le vedove dei caduti di guerra.Solo dopo Adriano lo schiavo, coi suoi piccoli risparmi, con le mance, ha diritto di farsi un gruzzolo di denaro con cui affrancarsi, ma soltanto nella tarda età imperiale la legge ordinerà ai padroni di concedere l'affrancamento, dopo aver soddisfatto i loro diritti di proprietario.Gli schiavi, veri e propri "strumenti di produzione", quando la vecchiaia, gli stenti, le malattie li rendevano improduttivi, dato che difficilmente il padrone trovava un compratore, venivano abbandonati a se stessi e lasciati lentamente morire. A meno che non fossero in grado di riscattarsi diventando liberti. Claudio ordinò l'emancipazione degli schiavi malati abbandonati dal padrone. EvoluzioneNei primi secoli di vita della città romana gli schiavi erano inseriti nel sistema patriarcale, nel senso che il lavoro nei campi era svolto dallo stesso pater familias, aiutato sia dai figli che dagli schiavi. Gli schiavi erano considerati persone di famiglia, anche se ovviamente senza alcun diritto.All'inizio del II sec. a.C. raramente le famiglie romane possedevano più di uno schiavo, ma verso la fine dello stesso secolo, soprattutto dopo la fine delle guerre puniche, il numero della popolazione servile era talmente aumentato da alterare i rapporti tra schiavo e padrone. Il mercato degli schiavi era ormai divenuto una delle attività commerciali più produttive del Mediterraneo (questo perché i ricchi proprietari terrieri avevano continuamente bisogno di una crescente manodopera). Il più grande mercato venne organizzato nell’isola di Delo, dove nei tempi più proficui si potevano vendere, mediamente, 10.000 schiavi al giorno.L’estendersi dell’economia schiavistica ebbe conseguenze negative per la popolazione italica, non solo perché frenava lo sviluppo tecnologico, ma anche perché tendeva ad aumentare la disoccupazione. Al tempo dell'imperatore Domiziano poteva sembrare più accettabile la posizione di uno schiavo al servizio di un ricco che non quella di un cittadino libero privo di proprietà.Nel II sec. d.C. famiglie con uno schiavo solo non esistevano più: o non ne compravano affatto perché costava troppo mantenerli, oppure ne possedevano molti di più. Due era il numero minimo, ma la media era di otto.Il livello di benessere, il prestigio pubblico, l'onorabilità, la quantità e la qualità dei servizi privati, in casa e fuori, erano in proporzione alla quantità e qualità di schiavi posseduti. Il prestigio di un avvocato, p.es., era determinato, presso il suo cliente, dalla scorta di schiavi con cui si presentava in tribunale.Plinio il Giovane (età di Traiano), che si dichiarava uomo di modesta ricchezza, ne possedeva almeno 500, e di questi volle affrancarne almeno 100 nel suo testamento.Il massimo dei riscatti consentiti dalla legge Fufia Canina, dell'8 a.C., era di 1/5 del totale degli schiavi posseduti.Nell'età imperiale Adriano tolse al padrone dello schiavo il diritto di vita e di morte, e Antonino Pio e Costantino considerarono omicidio l'assassinio del servo e punirono chi uccideva un figlio con le stesse pene di chi uccideva il padre.Con altre disposizioni si permise allo schiavo di mettere da parte, coi suoi risparmi, una somma che gli servisse per qualche spesa voluttuaria o gli permettesse di riscattarsi, quando non era lo stesso padrone, spontaneamente, a liberarlo. Provenienza geograficaDurante il periodo della conquista romana dei paesi del Mediterraneo (264-31 a.C.) furono condotti schiavi a Roma e in Italia:
- 30.000 abitanti di Taranto nel 209
- un gran numero di Sardi nel 176
- 150.000 abitanti dell'Epiro nel 167
- 50.000 Cartaginesi nel 146
- 50.000 Corinzi nel 146
- intere popolazioni della Spagna tra il 150 e il 100
- 150.000 Cimbri e Teutoni verso il 102-101
- centinaia di migliaia di asiatici dalle guerre di Pompeo nel 66-62: Ponto, Siria, Palestina
- un milione di Galli dalle guerre di Cesare nel 58-50
Durante il periodo della pax romana (31 a.C. - 192 d.C.)
- sotto Augusto proseguono le conquiste e affluiscono a Roma sempre nuovi schiavi a basso prezzo,
- Tiberio rinuncia a conquistare la Germania, perché diventa più vantaggioso allevare schiavi,
- Vespasiano e Tito distruggono Gerusalemme nel 70 d.C. e portano a Roma decine di migliaia di schiavi ebrei,
- Traiano occupa la Dacia e l'Armenia: nuovo arrivo di schiavi in massa (circa 50.000). L'ultima grandiosa tratta e vendita all'incanto di schiavi si ebbe appunto con Traiano.
Ma in complesso il numero degli schiavi diminuisce.Nel periodo della crisi dell'impero (192 - 476 d.C.), con l'anarchia militare e i saccheggi, c'è riduzione di nuove popolazioni in schiavitù, ma nel complesso il numero degli schiavi tende a diminuire, non solo perché ha termine l'espansione dell'impero, ma anche perché si cerca di trasformare la schiavitù in colonato o in servaggio, sulla base di un contratto.A Roma, su una popolazione che poteva andare da mezzo milione a 1,5 milione di abitanti, gli schiavi erano da 100.000 (II sec. a.C.) a mezzo milione (II sec. d.C.). Quando la capienza di Roma fu massima, circa 400.000 persone libere di nascita vivevano con l'assistenza della pubblica annona e solo 100.000 capifamiglia erano in grado di provvedere alle necessità della famiglia con rendite proprie.Difficile dire il numero dei liberti, degli stranieri, dei militari, della classe media. Si pensa che nella Roma imperiale almeno l'80% della popolazione provenisse da origine servile più o meno remota.L'ordine senatoriale comprendeva circa 600 famiglie, mentre quello equestre circa 5.000, quindi in tutto le persone più influenti o più ricche che disponeva del maggior numero di schiavi erano circa 20-25.000. La domus di un consolare romano del tempo di Nerone poteva ospitare anche 400 schiavi. Un imperatore poteva disporre anche di 20.000 schiavi. Forme di riscattoL'emancipazione dalla condizione schiavile era solita avvenire in tre forme previste dal diritto civile
- manumissio per vindictam: davanti a un magistrato, il padrone metteva una mano sulla testa dello schiavo (manumissus), pronunciando una determinata formula giuridica, dopodiché un littore del magistrato toccava lo schiavo su una spalla con una verghetta (vindicta), simbolo di potere, e lo dichiarava libero;
- manumissio censu: il padrone, dopo cinque anni, faceva iscrivere lo schiavo come cittadino romano nelle liste dei cittadini, dietro consenso popolare o per suo diretto intervento, e lo schiavo era automaticamente libero. L'iscrizione veniva fatta dal censor, cioè dal funzionario addetto ai ruoli delle imposte e alla registrazione del censo;
- manumissio testamento: il padrone nel suo testamento dichiarava libero uno o più schiavi; l'esecuzione testamentaria poteva aver luogo anche prima che il padrone morisse e comportava la successiva iscrizione nelle liste del censo.
Col tempo s'imposero forme più semplici:
- manumissio inter amicos: il padrone dichiarava in presenza degli amici di voler dare la libertà allo schiavo;
- manumissio per mensam: il padrone invitava lo schiavo a mangiare insieme agli ospiti; con la manumissio per convivii adhibitionem il padrone lo liberava semplicemente considerandolo un proprio commensale;
- manumissio per epistulam: il padrone comunicava per lettera allo schiavo l'intenzione di liberarlo.
La situazione degli schiavi così liberati venne regolata dalla legge Iunia Norbana del 19 a.C., in base alla quale essi potevano disporre di beni propri, anche se non potevano lasciarli in testamento; sicché i loro beni tornavano all'antico padrone. Tale limitazione verrà tolta dall'imperatore Giustiniano.Dopo la manumissio il padrone (dominus) diventava patronus, cioè protettore del liberto. Il nuovo vincolo comportava l'obbligo reciproco degli alimenti, l'obbligo di prestazioni gratuite di manodopera da parte del liberto e altre cose che in sostanza si presentavano come anticamera dei medievali rapporti di servaggio.Lo Stato comunque temeva un'eccessiva liberazione di schiavi, perché sapeva bene ch'essi avrebbero ingrossato la massa della plebe, il cui mantenimento gravava sulla pubblica annona. Di qui la limitazione al 5% del totale posseduto, nonché il divieto di liberare schiavi sotto i 18 anni o il divieto di riscattarsi prima dei 30. D'altra parte gli stessi imperatori impedirono più volte, con la cancellazione dei debiti, che masse di debitori cadessero in schiavitù per insolvenza. I libertiUno schiavo affrancato era detto "liberto". E l'età adatta a riscattarsi si aggirava sui 30 anni. Poteva infatti accadere che quando i cittadini liberi erano impegnati nelle guerre di conquista, gli schiavi dovessero svolgere in patria delle mansioni di una certa responsabilità (gestione di un'azienda, di un'attività economica, di un'abitazione padronale). In tali casi il padrone poteva concedere spontaneamente la condizione di "liberto", oppure lo schiavo poteva riscattarsi pagando un certo prezzo e continuando a lavorare presso il padrone sulla base di un contratto.D'altra parte i senatori, non potendo fare commerci in senso proprio, avevano necessità di servirsi di liberti, che spesso praticavano l'usura e persino il commercio di schiavi.Il liberto poteva anche svolgere un'attività economica indipendente, ma il padrone esigeva sempre delle corvées sui suoi terreni o nella sua abitazione, oppure pretendeva dei doni in occasione di festività.Generalmente i liberti continuavano ad abitare presso la casa padronale.I liberti venivano ammessi alla distribuzione gratuita di frumento, alimenti vari, denaro.I liberti non avevano gli stessi diritti dei cittadini liberi (p.es. erano esclusi dai diritti politici), ma avevano il diritto di cittadinanza. Tuttavia i suoi discendenti, alla terza generazione, diventavano cittadini romani con la pienezza di tutti i diritti. Qui si può ricordare che i cittadini romani non solo potevano esercitare i diritti politici, ma potevano essere condannati a morte solo da un’assemblea cittadina e non da un qualunque magistrato, come accadeva a chi non era romano. Inoltre non potevano essere sottoposti a tortura fisica e fustigazione. I funzionari e gli amministratori imperiali dovevano essere romani: per gli appartenenti alle classi più elevate dei territori conquistati, la cittadinanza era la sola via per far parte dei gruppi dirigenti.Gli stessi imperatori, diffidando delle classi al potere, già corruttrici della repubblica, diedero loro incarichi di fiducia (spesso connessi al fisco). Il che poteva aiutare gli imperatori a dimostrare il carattere democratico delle istituzioni. L'ufficio politico dell'imperatore Claudio era composto esclusivamente di schiavi di fiducia, che, dopo la sua morte, furono sostituiti da liberti, molti dei quali si erano arricchiti notevolmente sin dal tempo delle guerre civili sillane.Quando, nel 40 d.C., l’imperatore Claudio propose di dare ad alcuni galli la possibilità di diventare magistrati e senatori, vi fu in Senato chi sostenne che Roma non aveva bisogno degli stranieri per ricoprire posti di governo. Tuttavia, la tesi che prevalse, riportata da Tacito, fu la seguente: "A qualche altra causa si deve la rovina degli spartani e degli ateniesi, nonostante il loro valore bellico, se non alla loro ostinazione a tenere in disparte gli stranieri?. Al contrario, Romolo, che fondò il nostro impero, fu abbastanza saggio da saper trattare nello stesso giorno gli stessi popoli da nemici e da cittadini. Degli stranieri hanno regnato su di noi, i figli di liberti possono diventare magistrati, e questa non è una novità, come si ha il torto di credere: l’antica Roma ne ha dato molti esempi". Augusto arrivò ad autorizzare i matrimoni tra liberi e liberti. Tiberio diede la cittadinanza ai liberti pompieri antincendio a condizione che si arruolassero nell'esercito. Claudio la concesse ai liberti che coi loro risparmi avessero armato le navi commerciali. Nerone a quelli che avessero impiegato capitali nell'edilizia e Traiano a quelli che avessero aperto dei forni.Si conoscono rinomati liberti: Antonia Filematio, al servizio degli Antoni nel 13 a.C., capace di fare affari in Egitto; G. Cecilio Isidoro che nell'8 a.C. possedeva enormi latifondi e 4116 schiavi; Roscio, commediante, che ricevette da Silla l'alta onorificenza dell'anello d'oro; Narciso e Pallante furono arbitri di molte carriere militari e politiche. Le punizioniPosto che la "bontà" verso gli schiavi doveva essere considerata un sentimento eccezionale, le pene o punizioni erano molte e all'ordine del giorno, da quella più semplice del trasferimento in una famiglia rustica a quella del lavoro forzato in miniera, alle cave, alla macine, al circo, sino alla crocifissione.Di regola bastava la fustigazione (sferza, scudiscio e il terribile flagello, frusta a nodi), ma a volte si procedeva alla rasatura della testa, fino alla tortura vera e propria: l'ustione mediante lamine di metallo incandescenti, la frattura violenta degli stinchi, la mutilazione, l'eculeo (strumento in legno che stirava il corpo sino a spezzarne le giunture).Agli schiavi fuggitivi, calunniatori o ladri si scrivevano in fronte, col marchio infuocato, rispettivamente le lettere FUG (fugitivus), KAL (kalumniator) o FUR (fur=ladro). Tuttavia chi riusciva a sottrarsi alla cattura cessava di essere schiavo, per una consuetudine passata nel diritto.Per gli schiavi ribelli, terroristi, sediziosi vi era la crocifissione, cioè l'inchiodamento a una trave per una lenta agonia, previa flagellazione. Ma molti di questi schiavi finivano anche in pasto alle belve feroci del circo o bruciati vivi.Moltissimi schiavi, per punizione, finivano per fare i gladiatori. La gladiatura fu introdotta nel 264 a.C. e ufficializzata nel 105 a.C.: in essa si realizzava il concetto di virile coraggio. Il primo edificio utilizzato appositamente per questi duelli fu del 53 a.C. Il più famoso è il Colosseo, che aveva 45.000 posti a sedere e 5.000 in piedi. I gladiatori venivano reclutati, di solito, tra i prigionieri di guerra, i disertori e gli incendiari, ma anche tra i cittadini liberi condannati a morte. Era comunque facile passare dall'esercito alla gladiatura, ma in questo caso lo si faceva per guadagnare dei soldi.Contrariamente a quanto si crede, i combattimenti all'ultimo sangue furono molto pochi. Augusto non ne voleva più di due all'anno; Tiberio e Claudio non ne organizzarono neanche uno; Nerone squalificò per 10 anni l'anfiteatro di Pompei. Solo nel IV sec. d.C. i giorni dedicati a queste lotte erano saliti a dieci l'anno. Le rivolteLa prima significativa rivolta armata di schiavi si ebbe in Sicilia nel 137 a.C. Erano stati importati dalla Siria, dalla Grecia, dalla Cilicia, e mandati a lavorare nei campi e nelle miniere.I primi a insorgere furono gli schiavi di Damofilo, sotto la guida di Euno, di origine siriaca. S'impadronirono della città di Enna. Contemporaneamente insorsero anche gli schiavi di Agrigento che sotto la guida dello schiavo Cleone andarono a ingrossare le schiere di Euno. In tutto i rivoltosi arrivarono a 200.000.Elessero re Euno il cui regno rimase in carica dal 137 al 132 a.C., poi distrutto dal console romano Rupilio, con la conquista, dopo lungo assedio, delle città di Tauromenio e di Enna. Euno fu ucciso con torture in carcere. Circa 20.000 schiavi furono giustiziati.Poterono resistere ben cinque anni perché rispettavano i contadini, infierendo solo contro i latifondisti.Negli stessi anni un'altra grande rivolta di schiavi fu capeggiata in Asia Minore da Aristonico, nella città di Pergamo. Ai romani occorsero ben tre anni prima di avere la meglio.Altre insurrezioni, tutte ferocemente represse, si ebbero in Italia, nelle città di Sinuessa e di Minturno (qui furono crocifissi 450 schiavi); in Grecia nelle miniere dell'Attica e della Macedonia e nell'isola di Delo, il più grande emporio di schiavi dell'area mediterranea.In Sicilia si ebbe una seconda rivolta nel 104 a.C., nei pressi di Eraclea, con la sollevazione di 80 schiavi, che si fortificarono su una montagna, dove vennero raggiunti da altri schiavi, fino a formare un esercito di 20.000 fanti e 2.000 cavalieri. Elessero re lo schiavo Salvio, che prese il nome di Trifone.A questi schiavi se ne unirono altri 10.000 raccolti da Atenione nella città di Lilibeo. Insieme fortificarono la città di Triocala. Riuscirono a resistere alle legioni dei pretori Lucullo e Servilio, ma non a quelle del console Aquilio che nel 101 ebbe la meglio.La più grande rivolta di schiavi fu quella di Spartaco.Gli ultimi movimenti di rilievo dei ceti servili, furono quello detto dei Bagaudi, in Gallia, verso la fine del regno di Gallieno e di Postumo. Agli insorti si unirono i piccoli artigiani di Augustodunum (Autun) e gli schiavi impiegati nelle fabbriche di armi della stessa città.Poi quello degli Isauri in Asia Minore, e dei Mauri in Africa. Ormai siamo alle soglie di un'epoca in cui la schiavitù antica si dissolve e la rivolta servile diventa una vera rivolta contadina. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Dom Lug 04, 2010 7:55 pm | |
| so ke sono post....un po lunghi e qualcuno si stuferà a leggerli....se è così x favore passate oltre...o voi sapienti, l ultima cosa ke voglio è proprio quella di abboiarvi. però io sto scoprendo un epoca ke comincia a prendermi....mi affascina... quindi continuo a postare. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Dom Lug 04, 2010 7:58 pm | |
| pardonus.....annoiarvi.... | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Dom Lug 04, 2010 9:11 pm | |
| Complimenti Jul,hai fatto un ottimo lavoro.é proprio vero che i vari argomenti della vita degli antichi romani appassionano,anche perchè volenti o nolenti da loro discendiamo.Ed è da dire,come tu hai rimarcato parlando degli schiavi,che Roma era una città cosmopolita ,con abitanti provenienti da tutto il mondo allora conosciuto. | |
| | | hermes
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Lun Lug 05, 2010 12:32 am | |
| | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Lun Lug 05, 2010 12:38 am | |
| grazie al..... grazie anke a te her, infatti vedo............ | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
Messaggi : 2143 Data d'iscrizione : 19.01.10 Età : 63 Località : pr. di milano Umore : felino, vulcanico
| Titolo: da skiavo a gladiatore Lun Lug 05, 2010 1:08 am | |
| I gladiatori romani, il cui nome deriva dall'antica spada romana "gladius", erano per la maggior parte prigionieri di guerra, schiavi o condannati a morte. Agli spettacoli, tuttavia, partecipavano anche uomini liberi attratti dalle ricompense e dalla gloria, ma chiunque scegliesse di diventare gladiatore automaticamente veniva considerato "infamis" per la legge. Si suppone che gli spettacoli gladiatorii abbiano origine da lontane cerimonie funebri celebrate con il sacrificio umano per calmare l'ira degli Dei infernali e l'inquietudine dei morti. I lottatori seguivano un duro addestramento nelle scuole fondate da Nerone e da Cesare nelle quali venivano sottoposti a torture ed un ordine imposto con l'uso reiterato delle punizioni corporali con il fuoco e la frusta. La disciplina era dura, con regole ferree e con pene severe in modo da far diventare i gladiatori romani delle vere e proprie macchine da combattimento. Al termine del periodo di addestramento tutti i gladiatori venivano raggruppati in "compagnie" di proprietà esclusiva dell'imperatore. Le sfide iniziavano con una parata dove i gladiatori entravano in scena su carri o a piedi seguiti da un gruppo di suonatori; giunti sotto la tribuna dell'imperatore, lo salutavano con le parole "Ave cesare morituri te salutant" ("Ave o Cesare, coloro che si apprestano a morire ti salutano"), poi si dirigevano verso l'organizzatore dei giochi il quale esaminava le armi che erano diverse in base alla categoria del lottatore. I "retiarii", ispirati al Dio Tritone, lottavano seminudi armati di una rete, un tridente ed un pugnale; i "mirmilloni" invece avevano un elmo, uno scudo ed erano armati di una falce, i gladiatori, che facevano parte della categoria dei "sanniti" indossavano un elmo munito di creste una forte armatura ed impugnavano un giavellotto. I duellanti che venivano scelti erano di categoria diversa in modo da rendere più avvincente lo spettacolo; da alcune cronache del tempo infatti sembra addirittura che l'imperatore Nerone, per onorare il re di Armenia, Tiridate, fece combattere un nano contro una donna. A volte gli attacchi, dopo aver reso le armi inoffensive, erano solamente simulati ma nella maggior parte dei casi i combattimenti erano duri e sanguinosi e si concludevano con la morte di uno dei gladiatori. Se il gladiatore sconfitto rimaneva ferito poteva chiedere la grazia alzando il braccio, allora il pubblico invocava la salvezza o la morte presso l'autorità presente sul palco imperiale, mostrando il pollice rivolto verso il basso, o sventolando un fazzoletto bianco. I gladiatori uccisi, prima di essere portati via, venivano avvicinati da due schiavi travestiti da Caronte e da Ermete Psicopompo: uno ne verificava il decesso toccandoli con un ferro rovente, l'altro, eventualmente, dava loro il colpo finale facendo poi segno ai "libitinarii" di portar via il corpo trascinandolo sull'arena con un uncino. I vincitori venivano premiati con palme d'oro, denaro e dall'immensa popolarità conseguita soprattutto tra le donne; se il gladiatore vincitore era uno schiavo, dopo dieci vittorie, che venivano segnate su un collare di metallo, gli era resa la libertà; egli allora poteva decidere se continuare a combattere per soldi o intraprendere altre attività come ad esempio l'istruttore nelle scuole per gladiatori. Un altro gioco molto amato dal pubblico erano le "venationes" dove i gladiatori lottavano contro belve feroci come elefanti, ippopotami, leoni, tori, tigri, pantere, e leopardi. Le cacce potevano consistere anche in una sfida fra uno o più animali contemporaneamente, oppure essere prese a pretesto per le esecuzioni capitali, quando i condannati venivano introdotti nell'arena senza alcuna difesa insieme alle fiere. Erano molto apprezzate anche le "naumachie", che consistevano in finte battaglie navali, ma essendo molto costose per le spese relative all'armamento delle imbarcazioni, venivano organizzate raramente. Di tanto in tanto scendevano in scena, anche se la legge lo proibiva, le donne ed esponenti delle classi più elevate, ma costoro ovviamente non convivevano con gli altri gladiatori e non combattevano fino alla morte.Capua, era la città della scuola dei Gladiatori dell'antica Roma. Fu proprio da questa scuola di gladiatori che nel 73 a.C. Spartaco e i suoi 80 gladiatori si ribellò al potere della "grande Roma" con le famose "gesta del valoroso Spartaco". La figura di Spartaco, con le sue doti di coraggio e decisione oltre che di umanità, entrò ben presto nella leggenda incontrando anche il favore di taluni storici romani (Sallustio). Altera Roma , la seconda Roma: così Cicerone nel I secolo a.C. definisce l'antica Capua, corrispondente alla moderna S. Maria Capua Vetere. Tito Livio descrive la Capua della metà del IV secolo a. C. come la più grande e ricca città d'Italia. Nel IV secolo d. C. Capua era ancora molto fiorente, tanto che il poeta Magno Ausonio la enumerò tra le otto maggiori città dell'impero romano. Divenne un importante centro cristiano, e Costantino le attribuì la sede del Consularis Campaniae e fece edificare la Basilica Apostolorum. | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Lun Lug 05, 2010 3:18 pm | |
| Ludi gladiatorii I ludi gladiatorii, detti anche munera (dal latino munus, eris: combattimento, ma anche dono, ricompensa), erano di gran lunga i preferiti dal popolo romano e consistevano nel combattimento uomo contro uomo. I combattimenti tra gladiatori erano già diffusi in Grecia,Egitto,e Mesopotamia, dove non avevano funzione di spettacolo come a Roma, ma perlopiù uno sfondo sacro durante i funerali di un personaggio illustre o eroico venivano tradizionalmente organizzati scontri tra uomini, che spesso consistevano in veri sacrifici umani. Questo rito venne poi tramandato in Italia dagli Etruschi e comparve per la prima volta nellUrbe intorno al 105 a.C. inizialmente come rituale funerario, poi, con Cesare, tale usanza degenerò e divenne spettacolo. Alla morte dello stesso imperatore, i munera cominciano ad essere praticati negli anfiteatri , un vasto edificio dalla pianta circolare, il cui esempio più valido è il Colosseo, detto anche anfiteatro flavio. In epoca romana i gladiatori venivano reclutati tra i condannati a morte o tra i prigionieri di guerra resi schiavi, come Spartaco. In seguito partecipavano ai munera anche uomini liberi che facevano i gladiatori per professione; il loro scopo era il guadagno. Pur tuttavia si ricorda che la vita di un gladiatore, in media, non durava più di cinque anni. Ogni combattente veniva addestrato in alcune scuole speciali e dormiva in una cella sorvegliata da guardie. Si dedicava particolare attenzione alla loro efficienza fisica e alla loro alimentazione, basata su vegetali, carne e altri cibi, in prevalenza molto vitaminici; riguardo a questo, Seneca scrisse: "Mangiano e bevono ciò che poi dovranno restituire col sangue". Il combattimento si svolgeva secondo precise consuetudini. Dopo un corteo accompagnato dai suoni di vari strumenti, come la tromba, e dopo aver rivolto il tradizionale saluto all’imperatore che spesso presiedeva gli spettacoli i gladiatori iniziavano il combattimento. Lo scontro avveniva tra gladiatori dotati delle stesse armi o di armi differenti l'uno dall’altro, per rendere lo spettacolo coinvolgente e il suo esito stesso più incerto. Alla fine dello scontro, il gladiatore sconfitto cedeva le armi e chiedeva la grazia al popolo-spettatore, sollevando la mano sinistra. Se tutti agitavano un fazzoletto o rivolgevano il pollice della mano all’insù, gridando "missum" (libero), la grazia era accordata. Ma qualora gli spettatori mostravano il pollice all'ingiù veniva decretata la morte del combattente sconfitto, che offriva la sua gola alla spada del vincitore.
Il gladiatore schiavo poteva essere affrancato, ossia liberato, solo in seguito a dun certo numero di vittorie, le quali venivano segnalate su un collare di metallo. Non tanto diffusi erano anche i combattimenti tra donne che, essendo piuttosto rari ed inusuali, determinavano un particolare coinvolgimento da parte del pubblico. Cicerone, pur non approvando i combattimenti tra gladiatori, attribuiva loro un forte valore educativo per la sopportazione del dolore, mentre Seneca senz'altro li condannò e il cristianesimo vi si oppose decisamente ritenendoli spettacoli sanguinari e disumani. Proibiti da Costantino nella parte orientale dell'Impero nel 305, i ludi gladiatori vennero definitivamente soppressi da Onorio nel 404
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| | | hermes
Messaggi : 1033 Data d'iscrizione : 19.01.10 Età : 60 Località : romano abusivo Umore : al vaglio
| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mar Lug 06, 2010 11:31 pm | |
| eee grazie anke a te her, infatti vedo............
ti chiedo scusa jul. sai bene quanto ami Roma e la Roma Classica, ma due fattori non mi permettono di intervenire compiutamente. il primo, è che vedo un così ampio e dettagliato spettro della vita dei tempi che è bello non interrompere. il secondo, quello piu' presente, come sai, è che sto viaggiando a tre cilindri. | |
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA | |
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