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| ROMA ANTICA | |
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Autore | Messaggio |
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hermes
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mar Lug 06, 2010 11:31 pm | |
| eee grazie anke a te her, infatti vedo............
ti chiedo scusa jul. sai bene quanto ami Roma e la Roma Classica, ma due fattori non mi permettono di intervenire compiutamente. il primo, è che vedo un così ampio e dettagliato spettro della vita dei tempi che è bello non interrompere. il secondo, quello piu' presente, come sai, è che sto viaggiando a tre cilindri. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mar Lug 06, 2010 11:45 pm | |
| - Citazione :
- il primo, è che vedo un così ampio e dettagliato spettro della vita dei tempi
x vedere bisogna ke ci sia qualcosa da guardare...... - Citazione :
- che è bello non interrompere.
non mi risulta ke partecipare a qualcosa, sia interromperlo. comunque.......... | |
| | | hermes
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Lug 07, 2010 12:02 am | |
| hai ragione, forse i cilindri sono due. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Lug 07, 2010 12:19 am | |
| a me pare più una bicicletta a questo punto, e me ne dispiaccio. ma se a te sta bene così......... | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Lug 07, 2010 9:11 am | |
| Ma i romani antichi andavano in bicicletta? | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Lug 07, 2010 11:40 am | |
| fuori topic mi sembra opportuno concludere sulla evoluzione della schiavitù fino ai giorni nostri L'abolizione della schiavitù è stato un processo secolare. Sebbene vi siano stati precedentemente episodi di critica della schiavitù e di liberazioni di schiavi, la schiavitù fu messa efficacemente in discussione in Europa nell'alto medioevo dai re cristiani che la proibirono nei propri regni su intervento diretto della Chiesa che estese i sacramenti a tutti gli schiavi, tanto che per la fine del X secolo la schiavitù era sparita dall'Europa. Questo riguarda soprattutto la condizione di schiavitù dei cristiani. Nelle colonie del Nuovo Mondo (le Americhe) la tradizione continuava e fu messa in discussione dal papaPaolo III nel XVI secolo e, più efficacemente, dalla corrente di pensiero dell'illuminismo Negli Stati Uniti, fra i maggiori pensatori coinvolti nel movimento abolizionista del XIX secolo ci sono Henry David Thoreau e Ralph Waldo Emerson. Alcuni illuministi europei si dichiararono invece favorevoli alla schiavitù, tra i quali Voltaire, John Locke, David Hume, che investirono i loro risparmi nel commercio degli schiavi. Oggi la schiavitù è una condizione formalmente illegale in tutto il mondo occidentale, fatto sancito tramite l'adozione, da parte delle Nazioni Unite, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, avvenuta nel 1948. Il mondo islamico si è rifiutato di aderire a questa Dichiarazione e ne ha una sua propria, la Dichiarazione islamica dei diritti dell'uomo, e nel mondo islamico la schiavitù è di fatto praticata. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Lug 07, 2010 12:40 pm | |
| - Citazione :
- Ma i romani antichi andavano in bicicletta?
no al, all epoca il velocifero gli uomini ancora non l avevano inventato, ma siccome her non appartiene geneticamente alla razza "mortale", essendo stata generato da dei....lui è stato precursore e l ha usato x molto tempo quando si è stancato si sbattere le alucce....dato il suo incarico di postino olimponico. poi si è adattato ai tempi moderni passando all automobile.....ora ha deciso di fare il percorso inverso e di ritornare agli antipodi. | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Ven Lug 09, 2010 10:07 am | |
| I giardini romani
Oggi Roma è forse la città che ha la più alta percentuale di verde. Di sole, di acqua, di vento e di pietra: l’origine dei giardini ha costantemente significato l’evolversi della materia plasmata dalla natura, della natura plasmata dalla materia e dall’uomo.
I giardini, da sempre, sono stati momento dell’introspezione dell’essere umano nelle proprie profonde radici, alla ricerca di un dialogo intimo e segreto con una natura duttile e benevola, pronta ad accarezzare, a lenire, a sollevare dalle fatiche di una quotidianità spesso faticosa e sofferta . I giardini egizi, ove immagini fluviali appaiono allietate da sicomori, palme, loti e pergolati Il rigoglio degli splendidi giardini assiro- babilonesi, i giardini di Babilonia - voluti da Nabucodonosor - tripudio di colori, di profumi e refrigerio… queste le immagini più rappre- sentative del giardino antico.
Espressione d’Oriente, esso è, per lo più, uno spazio delimitato con al suo interno una vegetazione particolarmente rigogliosa, ricca di piante ornamentali .
Sono questi i luoghi deputati al perfetto conseguimento del riposo e del godimento spirituale: il giardino, già dall'antichità, è essenza di vita.
Ma è in ambito romano che nasce il concetto moderno di giardino inteso come arredo urbano, splendido accompagnamento delle ville patrizie, ove viali alberati, statue, fontane, ed altri ornamenti lapidei, alternati a terrazze, uccelliere, ninfei, tempietti e osservatori celesti, resero l’arte dei giardini quell’incomparabile equilibrio tra natura e architettura che ne costituirà il significato più intrinseco, come rappresentato fino ai nostri giorni. | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Sab Lug 10, 2010 9:12 am | |
| Dalla Roma repubblicana, società inurbata in cui il rapporto con la campagna, con le piante ed i fiori, è molto forte, e dalla villa romana, fulcro del sistema agrario produttivo e fondamento del mondo romano, ecco emergere tre elementi essenziali: l’ars topiaria, consistente nel modellare i luoghi, l’uso sapiente dell’acqua e lo studio del paesaggio, considerato, quest’ultimo suprema sintesi dei due primi elementi. Cicerone dà notizie minuziose della moda ellenistica che, intorno al 60 a.C., coinvolge Roma nell’apprezzamento e realizzazione di giardini che ora diventano “di delizia” cambiando la concezione del mondo romano per il quale, fino ad allora, non vi era distinzione tra i termini di giardino e di orto. Ai Romani (anche se nelle prescrizioni religiose era vietato intervenire sui boschi, considerati sacri ed intoccabili) non piaceva farsi dominare dalla natura, la plasmavano, quindi, alle proprie esigenze. I giardini dei Romani, ove dal I secolo a.C. la vegetazione non veniva più lasciata libera di crescere, rispecchiavano quindi questa concezione e ricalcavano (in piccolo) la struttura “rettangolare” con cui essi costruivano le proprie città. | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Lun Lug 12, 2010 10:30 pm | |
| L'amore coniugale e la prostituzione nell'antica Roma
Il rapporto che gli antichi Romani avevano con l’amore era piuttosto ambiguo: da una parte c’era l’istituzione del matrimonio, rispettato e protetto, dalle cui viscere nascevano i cives romani, dall’altra c’era l’amore passionale, quello che si consumava fuori dalle mura domestiche, quello dei rapporti occasionali, che alimentava le file della prostituzione.
I matrimoni, come ci dicono le copiose testimonianze, soprattutto della prima età imperiale, erano combinati già in tenera età. Dai 12 anni in poi le ragazze potevano sposarsi. La giovane, destinata a diventare moglie e madre, doveva contraddistinguersi per il suo pudore e per i suoi sani costumi. La vita della matrona doveva svolgersi prevalentemente entro le mura domestiche ed, ovvia mente, doveva essere “ univira”, appartenere ad un unico uomo. I tradimenti erano puniti con estrema severità. Il reo macchiatosi di atti impuri con una donna sposata era sottoposto a pesanti punizioni corporali; taglio del naso, delle orecchie, evirazione erano solo alcune delle menomazioni che gli venivano inflitte. L’amore coniugale era spesso piuttosto scarso sia per il rispetto dovuto alla mater familias , che doveva preservarsi honesta, sia per la frequente scarsa complicità sessuale tra i coniugi, dovuta ai matrimoni combinati. Fuori dal talamo nuziale il maschio romano poteva dare libero sfogo ai suoi più reconditi desideri. È qui che si inserisce il ruolo, anche sociale, della meretrix. Nonostante la sua immagine fosse comunque macchiata di infamia, la sua utilità sociale era indiscussa: raccoglieva e incarnava le fantasie sessuali più proibite, salvaguardando così il pudore delle mogli e madri romane, per le quali era sconveniente dedicarsi a certe arti amatorie. La città era popolata di donne di malcostume, la cui lussuria superava ogni immaginazione! Le commedie di Plauto ci offrono una vasta casistica: nella commedia Truculen tus la cortigiana Fronesio viene descritta come una prostituta rapace e insaziabile, ma tante sono le storie che vedono invischiati servi e lenoni con le loro cortigiane. Anche nel Satyricon Petronio ci racconta che Encolpio, persosi per le vie di Roma, viene accompagnato direttamente in un bordello da una vecchietta a cui aveva chiesto indicazioni per ritrovare la strada! L’atto amoroso poteva essere consumato ovunque. I luoghi per eccellenza del meretricio erano i lupanara ( delle vere e proprie case chiuse) Se ne contavano a decine per la città. Nella sola Pompei gli scavi archeologici hanno fatto rinvenire diversi luoghi adibiti a questo uso, tra i più notevoli il lupanare di Africano e Vittore, che con i suoi innumerevoli affreschi erotici delinea un quadro preciso di ciò che avveniva al suo interno. I bordelli divennero anche una fonte di introito per lo Stato perché, a partire dal IV secolo d. C. con Costantino, prostitute o tenutari dei bordelli, dovevano versare un’imposta chiamata “collatio lustralis”, perché si pagava inizialmente ogni cinque anni. Un esempio simile si era avuto in precedenza con Caligola, il quale, oltre a farsi pagare dalle prostitute, aveva anche aperto un grande lupanare nel suo palazzo, nel quale si prostituivano donne e uomini del ceto senatorio. La nefandezza dei costumi romani stava raggiungendo il culmine. Qualsiasi luogo chiuso o all’aperto però poteva andar bene per soddisfare gli appetiti del maschio romano e i siti della prostituzione spesso davano il nome a colei che esercitava il mestiere. La fornicatrix, per esempio, la fornicatrice, si prostituiva sotto le volte (fornices) di circhi, ponti, ippodromi; ancor più di infimo rango quelle che si concedevano ai crocicchi delle strade o nelle zone accanto ai sepolcri, come la via Appia a Roma, le bustuariae, che si vendevano tra le tombe. La meretrix in senso stretto, invece, era più simile alla cortigiana greca e poteva essere esperta di musica, danza, a volte anche di poesia. La prostituta veniva chiamata anche lupa, da cui il termine lupanare, colei che aveva nutrito Romolo e Remo, Acca Larenzia, una prostituta rurale. Il primo re di Roma fu allevato quindi da una prostituta e questo ci dà l’idea di quanto fosse una realtà radicata nella cultura stessa della Roma antica. Una cura particolare, allora come oggi, veniva data ovviamente all’aspetto fisico che doveva attrarre i clienti. Le prostitute avevano però l’obbligo di non indossare le vesti tipiche della matrona, che portavano la stola, ma doveva no vestire con la toga, un tipico abito maschile, sinonimo dell’emancipazione sessuale che le caratterizzava, avvicinandole così al sesso maschile. Più le prostitute erano di alto rango più potevano permettersi abiti raffinati, spesso leggeri e trasparenti, molto colorati, per mostrare le fattezze del corpo. Molto usati ovviamente anche trucco e parrucche. Un problema legato alla pratica della prostituzione era quello delle gravidanze indesiderate. Le donne romane ricorrevano spesso alla pratica dell’aborto, anche perché i metodi utilizzati per il controllo delle nascite erano del tutto inefficaci, alcuni legati più che altro alla sfera della superstizione. Gli “esperti” consigliavano spesso di applicare come agente contraccettivo della lana con unguenti. Si riteneva che anche il pepe nero, applicato dopo il rapporto amoroso sul collo dell’utero , potesse impedire il concepimento. Dinanzi a rimedi di questo tipo molte donne, non solo prostitute, praticavano purtroppo all’infanticidio; la gravità della situazione rese necessario l’intervento dello Stato, con la Lex Cornelia, con cui si puniva con la deportazione e la confisca dei beni coloro che ricorrevano all’aborto. L’ altra alternativa era ovviamente l’abbandono dei bambini appena nati. Altro grosso dramma legato alla diffusissima pratica della prostituzione era la notevole diffusione di malattie veneree. Non si conoscono infatti interventi sanitari di controllo su questi ambienti. Le prostitute curavano l’igiene intima con dell’acqua dopo i rapporti ma chiaramente questo non era un rimedio alla diffusione delle malattie. Le testimonianze dell’epoca parlano di sifilide, gonorrea, scolo. Questo tuttavia non fermò la passione inarrestabile degli antichi romani per la prostituzione. Il fenomeno andò assumendo con il tempo proporzioni enormi; sogni e desideri proibiti, prestazioni inconsuete, rendevano la meretrice appetibile agli occhi di qualsiasi maschio romano, senza distinzione di ceto alcuna | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: essere donne nell antica roma.... Mer Lug 14, 2010 10:39 pm | |
| Alcuni sostengono che per capire la condizione delle donne romane non si debba prendere in considerazione esclusivamente l’astratta se verità delle regole giuridiche in vigore nei primi secoli il cosiddetto periodo arcaico, che ci mostrano una pressoché totale sotto posizione delle donne al potere e al controllo maschile. Per capire la condizione reale delle donne romane, bisognerebbe basarsi piuttosto sulle leggende, che narrano di personaggi femminili il cui ruolo e le cui gesta non si conciliano con l’immagine di una donna sottomessa e dominata. Tali leggende, alla base delle credenze e del mo's maio rum della civiltà rivelerebbero, quindi, l’ importanza del ruolo femminile, la dignità, l’onore e ai riconoscimenti di cui le donne godevano in famiglia e nella società. E proprio in base a queste considerazioni, spesso si è pensato che il contrasto tra le dure regole giuridiche e la felice condizione sociale delle donne si spiegasse come il ricordo di un antico, e ancora latente, potere femminile. In altre parole, la libertà di movimento, di cui le donne romane godettero da sempre rispetto per esempio alle donne greche chiuse nei ginecei, il grande rispetto sociale a loro riconosciuto, il ruolo centrale da esse ricoperto all ’interno della familia, le grandi figure femminile dell epoca romana etc. sarebbero stati esempi di questo ipotizzato potere matriarcale. A prescindere dalle conclusioni, certamente è molto valido il metodo di ricerca di costoro che, avvalorando l’ipotesi matriarcale, hanno prestato la medesima attenzione sia al mondo del diritto e delle istituzioni sia a quello della società e del costume, nel tentativo di ricercare le prove del potere femminile. Ed infatti, nel nostro caso, sarebbe errato ricostruire la condizione della donna romana solo in base alle norme dell antico ius civile sia perché si giungerebbe a una conclusione parziale non tenendo conto dell’ambito anche sociale e non solo giuridico in cui la donna visse, sia perché lo stesso ius civile-soprattutto quello arcaico essendo stato un diritto fatto di consuetudini, di mos maiorum, a cui spesso si intrecciarono credenze religiose e sociali, necessita di una comprensione ‘allargata’, tenendo conto dell’ incidenza della società e del costume sulle norme e viceversa. Ma qui, pur proseguendo sul doppio binario di una ricostruzione dal punto di vista giuridico e di un’altra dal punto di vista sociale, non si vorrà seguire la linea-guida dell’ipotesi matriarcale contrastando e avvalorando questa tesi. Non si prenderanno posizioni cercando di dimostrare o meno che, come alcuni studiosi asseriscono, anche in epoca romana ci fu una ‘forte’ presenza della figura femminile tale da far pensare a un matriarcato, se pur durato per breve tempo e poi magari rimasto solo in forma latente. La prospettiva di questa ricostruzione è, invece, quella di una evidente differenza tra la condizione della donna così come ‘imposta’ dal diritto e dal costume in epoca arcaica e, invece, la situazione di profondo cambiamento sociale ma anche giuridico in cui si trovò la donna in epoca classica. Non è una visione di parallelismo tra la condizione della donna secondo il diritto e la condizione della donna secondo la società. Vuole essere, piuttosto un confronto tra due epoche storiche, e su come nello scorrere dei secoli si sviluppò la condizione della donna. E’ un confronto tra quello che la donna doveva essere secondo il diritto e il costume dell’età arcaica e quello che la donna in realtà fu secondo il diritto e il costume dell’età classica. E’ uno scontro tra dover essere ed essere.. L’intento di questa tesi è solo quello di proporre un altro modo di osservare le modificazioni e i cambiamenti della condizione della donna nei secoli. La donna che nel suo evolversi mostra la sua vera natura, ciò che è, a dispetto del guscio in cui è sempre vissuta, ciò che doveva essere.
segue..... | |
| | | algiuga
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Lug 14, 2010 10:58 pm | |
| Secondo me< quello che hai scritto è molto interessante,certamente la matrona aveva un ruolo di tutto decoro e soddisfazione,resta il fatto che questo accadeva per le donne dell'aristocrazia,le quali comunque erano escluse dalla poitica e dal potere. Aspetto il seguito Jul,ma penso che essendo la maggior parte dei matrimoni combinati,c'era poco posto per l'amore,almeno come lo intendiamo oggi, ed ancor meno per il sesso,che era lasciato alle meretrici. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Lug 14, 2010 11:00 pm | |
| [size=12]L[size=12]'etimologia della parola "donna" ci avvicina ad una domus (casa) oppure ad una domina (padrona). Una donna-domus ed una donna-domina: sono questi i due tratti prevalenti del profilo della donna romana. Dai tempi più remoti la donna romana comincia a combattere la sua prima battaglia nel giorno stesso in cui viene al mondo. Da alcune iscrizioni dell' epoca traianea veniamo a sapere che in una stessa città le persone ammesse all'assistenza alimentare sono 179, di cui solo 34 femmine. Come mai così poche femmine? Nel suo dies natalis, il giorno della nascita, il neonato viene sottoposto al rito del riconoscimento. E' deposto a terra ai piedi del paterfamilias che con un gesto manifesta la sua volontà: se fa l'atto di sollevarlo è riconosciuto, altrimenti viene esposto nella pubblica via dove può morire di fame e di freddo. Lo storico Dionigi di Alicarnasso cita una legge attribuita a Romolo, secondo cui il padre deve riconoscere "almeno" la figlia primogenita. Ciò ad evitare l'eccessivo abbandono di neonate di sesso femminile. Il più delle volte restano dunque a terra femmine e figli illegittimi. Quest'uso, praticato da ricchi e poveri, durerà più di mille anni. Salvata dalla volontà del padre o da una mano pietosa, se non interessata (il neonato esposto non può essere adottato, ma un mercante di schiavi può venderlo), la donna romana inizia la sua non facile esistenza.Il trattamento sociale e familiare mostra la sua netta discriminazione dai nati maschi.Nella Roma repubblicana ad esempio vengono censite solo le donne che, in quanto ereditiere, hanno l'obbligo di contribuire a mantenere l'esercito. Trascorsi i primordia, i primi otto giorni di vita ( nove per i maschi), ha luogo un rito di purificazione. Nel giorno del dies lustricus, così chiamato perchè l'infante viene purificato con acqua (lustratio) si invocano i Fata, da cui il nostro termine fate, le divinità che devono presiedere al suo destino. Parenti ed amici di famiglia portano doni ed i genitori assegnano il nome. Al maschio sono assegnati tre nomi, uno solo alla femmina. Così Marco Tullio Cicerone chiamerà col solo nome della sua gens, la sua diletta figliola Tullia. La fanciulla (puella è diminutivo di puera, ragazza, ma vedremo che più tardi per la donna romana ci sarà bisogno di un accrescitivo e mater diventerà matrona) si aggira nella sua domus . La scuola la rimanda a casa prima dei suoi coetanei maschi. Durante la sua fanciullezza essa è completamente assoggettata al temibile dominio del paterfamilias. Gioca con i dadi, il cerchio, le noci. I medici suggeriscono molto esercizio fisico. Sorano per esempio consiglia il gioco della palla, la danza ed il canto per ritardare l'età puberale. Studi recenti dimostreranno che aveva ragione: la pratica regolare dello sport ritarda la pubertà di circa tre anni. Per quelle che non fanno esercizio fisico, precocemente puberi, si suggerisce un sollecito matrimonio. Nelle sepolture di donne non maritate si trovano invece pupae, bambole, un oggetto forse di uguale valore scaramantico della bulla, che la donna depone sull'altare della sua casa di origine quando va sposa. Al matrimonio la donna pensa come a qualcosa che in ogni caso cambierà la sua vita, anche se nel periodo più antico si tratta semplicemente di passare dal dominio del padre alla potestà del marito. E' quel sentirsi chiamare materfamilias che l'attrae. Uomini di ogni età in cerca di affetti, spesso privati presto della madre (la durata media della vita femminile è di 20-30 anni) sono pronti a trattare il formale acquisto della donna con il padre di lei, a contrarre insomma il primitivo matrimonio. A Roma un fidanzamento (sponsalia) è una cerimonia abbastanza frequente. Il fidanzato consegna alla donna un pegno per garantire l'adempimento della sua promessa di matrimonio, un anello che la donna infila all'anulare della mano sinistra. Sembra che tra il dono e quel dito esista una certa relazione. Aulo Gellio afferma che anatomicamente questo è l'unico dito a presentare un sottilissimo nervo che lo collega direttamente con il cuore. Un decreto di Augusto assegna un termine agli eterni fidanzamenti e stabilisce severe sanzioni per quei furbi, i quali con continue rotture di fidanzamento eludono le leggi fiscali a carico degli scapoli, emanate per fronteggiare il preoccupante fenomeno della diminuzione delle nascite. Sarà forse un effetto delle leggi augustee, ma sta di fatto che prima del Cristianesimo sono rarissime le testimonianze di donne rimaste nubili. Una donna romana può essere ceduta dal padre al marito già a 12 anni, laddove i greci non mandano spose le loro fanciulle se non tra i 16 ed i 18 anni. In ogni caso troviamo iscrizioni funerarie che citano fanciulle sposate a 10 ed 11 anni. E' chiaro che il matrimonio tra i Romani è pienamente valido anche se non consumato. Indossando una lunga e dritta tunica bianca, il capo acconciato con l'elaborata pettinatura dei sex crines, le sei trecce, ed il volto completamente coperto dal flammeum, un velo fiammeggiante, tenuta per mano da due bimbi, mentre un terzo (sono tutti patrimi et matrimi, figli cioè di genitori viventi) la precede agitando una torcia di biancospino, simbolo di fecondità, accesa al suo focolare domestico, la donna romana si presenta allo sposo ed ai numerosi testimoni di nozze, accompagnata dalla pronuba (una donna che deve essere univira, sposata cioè una sola volta), che la dirigerà per tutto il rito matrimoniale, completamente privo della presenza di sacerdoti o rappresentanti della pubblica autorità. Nella formula più arcaica l'uomo chiede alla donna "se vuole essere la sua materfamilias". il che significa "moglie". E' interessante notare che l'avvenimento che fa accedere una donna al rango di materfamilias non è il parto, ma appunto il matrimonio. In tutt'altro senso la donna indirizza al futuro sposo la domanda " e tu vuoi essere il mio paterfamilias?" Con ciò desidera che l'uomo diventi per lei, anche giuridicamente, un nuovo padre, alla cui potestà ella con i suoi figli vuole sottomettersi loco filiae, come una figlia. Ma può accadere che il marito sia ancora un filiusfamilias, perchè la patria potestà paterna non cessa, come da noi alla maggiore età, ma dura finchè il padre è in vita. In questo caso la donna che entra nella famiglia del marito è sottoposta alla potestà del suocero. In ogni caso il paterfamilias, marito o suocero, ha su di lei un potere, manus, che per un'antica legge dei tempi di Romolo comporta almeno in due casi un diritto di vita o di morte: quando la moglie è sorpresa in flagrante adulterio e quando si scopre che ha bevuto vino. Nel rito matrimoniale più arcaico, chiamato confarreatio, perchè gli sposi consumano insieme una focaccia di farro, simbolo della futura vita comune, l'unione dei due è formalmente sigillata dopo che il marito avrà stretto la mano destra della donna nella sua (dexterarum iunctio), come si fa ancora oggi nel rito cristiano. Dopo il banchetto il corteo nuziale con canti, balli e frasi oscene inneggianti alla procreazione, accompagna la donna fino all'ingresso della casa del marito, il quale attende presso la soglia. Qui il rito prevede che lo sposo chieda alla donna il suo nome. Lei risponde con la celebre frase: Ubi tu Caius ego Caia (se tu ti chiami Caio, io sarò Caia) a significare il passaggio della moglie nella famiglia del marito. A questo punto il marito la solleva per farla entrare in casa. Questo gesto serve a mettersi al riparo dal pessimo presagio di una eventuale caduta della sposa proprio sulla porta di entrata della nuova dimora. Ma per alcuni l'interpretazione è diversa: ad attraversare quella soglia saranno gli altri, ma non la matrona, una donna che da quel momento è la personificazione stessa della domus, si identifica con la sua casa. La pronuba quello stesso giorno, prima di farla sedere sul letto nuziale per scioglierle simbolicamente il cingulus, il nodo che chiude la cinta della tunica, le farà prendere contatto con le divinità di casa, assieme alle quali essa con il calore della sua presenza dovrà profondere all'interno delle mura domestiche benefici influssi protettivi. In famiglia sta vicino al marito in ogni occasione, pur essendone subordinata. Ad esempio è a cena nei banchetti e nei ricevimenti, cosa che per una donna greca sarebbe uno scandalo. In ogni caso Valerio Massimo ci dice che feminae, cum viris cubantibus, sedentes cenitabant, le donne cenavano stando sedute, mentre gli uomini erano sdraiati. In casa si dedica ad acu pingere, al ricamo. Una famosa epigrafe funebre elogia le virtù domestiche di una defunta: casta fuit, domum servavit, lanam fecit (fu casta, governò la casa, lavorò la lana). Dal tempo arcaico alla fine della repubblica, per oltre sei secoli prevalgono nella donna romana virtù domestiche come moderazione, austerità e riserbo. Non ci sono dubbi ci troviamo davanti al tipo di una donna-domus.Ma non si tratta di una donna perdente. C'è poco da prospettare competizioni tra maschi e femmine. Sono epoche in cui la protezione-dominio da parte del marito-padre non deve sembrare eccessiva. I tempi sono malsicuri. Feroci nemici sono spesso alle porte. Fuori della domus ci sono innumerevoli pericoli, c'è violenza, miseria, carestia, pestilenze. Nel migliore dei casi la donna può restare facilmente vittima di pressioni morali, frodi e raggiri ad opera di uomini avidi, spregiudicati, senza scrupoli.Di qui anche una serie di limitazioni alla sua capacità giuridica, spiegate dai giuristi imperiali con pretese qualità negative della donna romana come i soliti luoghi comuni dell' ignorantia iuris, ignoranza della legge, imbecillitas mentis, inferiorità naturale, infirmitas sexus, debolezza sessuale, ma che vanno sempre letti con motivazioni di tutela, collegate a reali cause di inaffidabile sicurezza ambientale. Così la donna romana non può adottare (cosa consentita anche a chi è incapace di generare come impotenti ed eunuchi), non può rappresentare interessi altrui, nè in giudizio, nè in contrattazioni private, non può garantire per debiti di terzi, nè fare operazioni bancarie, non può essere tutrice dei suoi figli minori. Nel periodo arcaico neppure fare testamento o testimoniare. Soprattutto le viene preclusa la facoltà di intervenire nella sfera giuridica di terzi perchè non ha mai ufficialmente gestito alcun tipo di potere su altri. Nelle iscrizioni romane dell'Urbe troviamo quattro donne mediche, una segretaria, una stenografa e poi sarte, pettinatrici, levatrici, balie, pescivendole, erbivendole. Nella città di Ostia troviamo anche nutrici, tessitrici, lavandaie, massaggiatrici.Ci sono poi, tutte legate più o meno al mondo della prostituzione: attrici, albergatrici, cameriere, danzatrici, proprietarie di taverne. Arriva un altro momento decisivo per la donna romana.Il parto rappresenta un rischio mortale per tutte le classi sociali. Muore di parto o per le sue conseguenze il 5-10% delle partorienti. Le invocazioni alle dee Prorsa e Antvorta, così chiamate dalle posizioni, di testa o di piedi che può assumere il bambino alla nascita, non bastano. Levatrici e medici non hanno mai la certezza di poter risolvere il parto positivamente.Si sa che l'ampiezza del bacino di donne, spesso giunte ancora impuberi alle nozze, influisce sull'esito del parto. Nelle famiglie agiate, su consiglio del medico Sorano, la nutrice o la madre fasciano spalle e petto alle spose-bambine e lasciano libere le anche per ottenere un bacino più ampio. Per le conseguenze negative del parto Cicerone vede morire sua figlia Tullia e cade in uno stato di profonda depressione.La donna romana, specialmente quella di classe sociale più elevata, comincia a rifiutare la prole. Augusto alla fine del primo secolo, constatata una forte contrazione nelle nascite, incentiva nozze e natalità e promette alle donne maritate la liberazione da ogni tipo di tutela alla morte del padre, purchè siano portate a termine almeno tre gravidanze. Al contrario la donna che tra i 18 ed i 50 anni risultasse ancora nubile non potrà ricevere eredità.Da qualche tempo qualcosa è cambiato nella famiglia romana. La decimazione bellica degli uomini ha squilibrato il rapporto numerico tra i due sessi. Ora l'iniziativa per la celebrazione delle nozze non viene assunta dal futuro marito, ma più di frequente dal padre della donna. E' questi in definitiva che acquista alla figlia un marito, offrendogli una congrua dote da amministrare. La nuova usanza attecchisce bene, ma stravolge completamente l'antico ordine familiare basato sull'indiscussa potestas maritale. Anche dopo sposata la donna continua ad appartenere alla famiglia paterna, resta cioè sotto la potestas di suo padre. Alla base di questo nuovo tipo di matrimonio (detto sine manu, senza potere maritale) ci sono solo due condizioni: la materiale convivenza degli sposi e l'affectio maritalis, il reciproco consenso a considerarsi marito e moglie.Se viene a mancare uno soltanto di questi due elementi il matrimonio si scioglie. Il ripudio, che sotto il tardo impero cristiano verrà ammesso solo nei casi di adulterio, omicidio, maleficio e avvelenamento del coniuge, in tutta l'epoca classica è invece possibile in ogni momento. Basta recapitare al coniuge un biglietto con su scritto tuas res tibi habeto, (riprenditi quello che è tuo) ed è tutto finito.Le seconde nozze comunque non incontrano il favore dell'opinione pubblica e sulle epigrafi sepolcrali si legge per lungo tempo il titolo di onore di univira, donna che ha avuto un solo marito, ad evidenziare una vera virtù femminile. Insomma la situazione della moglie romana agli inizi dell'impero è profondamente mutata. Lontani ormai i pericoli di guerre, oltre i solidissimi confini dell'impero, fortemente organizzata la sicurezza, la stabilità e l'ordine interno di una societas civile sotto il regime del diritto romano, l'espressione più elevata della civiltà dei nostri avi, il ruolo protettivo del marito romano comincia ad apparire alla stessa moglie largamente superfluo, inutile, persino soffocante. Nel più sicuro ed opulento ambiente sociale, di protettivo è restato solo il materno ed insostituibile ruolo femminile. La materfamilias se ne accorge, ne prende ogni giorno più coscienza, la sua posizione si rafforza. In casa e fuori la gente la chiama ormai matrona. Ha preso ormai corpo il tipo della donna-domina.Per governare la domus basta dare poche direttive alla servitù. Quanto ai figli la matrona ricca ne affida l'educazione al pedagògo di casa, la povera li manda alla scuola pubblica, dove vengono formati da magistri sottopagati. Quando non vuole starsene rincattucciata nell'ombra della casa, profondamente immersa nel dolce far niente, lontana dal clamore del foro e dei mestieri rumorosi della città, la matrona decide di uscirsene. Le schiave la truccano e la pettinano a dovere.Vuole essere bionda ed usa posticci di chiome di barbari nordici. Si adorna con gioielli e mette oro dappertutto. Le leggi che tentavano di frenare il lusso, prodotto di inetti moralisti, sono ormai anticaglie senza più valore.Indossa l'abito che si addice ad una matrona: moglie legittima, vedova o divorziata che sia, l'abito deve lasciare scoperto solo il viso. Dice Orazio che la cortigiana mette in mostra la sua merce, ma della donna rispettabile non si vede che il volto.Fin dall'epoca repubblicana la donna evita in tutti i modi di attirare l'attenzione: la fanciulla può uscire a capo scoperto, ma gli uomini possono divorziare da una donna sposata che non copre il capo con un velo o con un lembo del mantello. Coprire il capo è un avvertimento: questa è una donna rispettabile alla quale non bisogna avvicinarsi a rischio di gravi sanzioni.Chi non copre il capo ed esce come una serva non è più protetta dalla legge romana contro eventuali aggressori che beneficiano di circostanze attenuanti.Quando i cristiani vorranno coprire il capo a tutte le donne della loro religione, non sarà più possibile distinguere: avranno tutte l'aspetto di donne intoccabili. Quando esce nella bella stagione la matrona tiene in una mano la borsetta e nell'altra il flabellum, ventaglio di piume di pavone, che serve anche a scacciare le mosche.La pedisequa, cameriera accompagnatrice, le regge l'umbella, ombrellino da sole, di solito di un bel verde allegro, da lasciare a casa se c'è vento perchè, a differenza dei nostri, non si può chiudere. Dove va una matrona? I mariti romani, a differenza dei greci, le accordano fiducia: le donne romane si scambiano visite, vanno a fare spese nei negozi, la sera accompagnano i mariti ai banchetti, rincasano tardi, anche dopo il marito. Nelle immagini pervenute e nelle fonti letterarie non si vede invece mai una donna tra quelli che a prima mattina devono correre a porgere l'obsequium, il deferente saluto ai potenti, nè tra la povera gente che, tessera annonaria alla mano, si presenta nei luoghi di distribuzione gratuita di generi alimentari. Roba da uomini, i quali fanno anche la spesa, come ancora oggi nei paesi dell'Islam. Si vedono donne alla fullonica, tintoria, che si fanno restituire la biancheria, dal calzolaio, dal sarto.A volte sole, a volte con il marito o con un'amica.Vanno alle terme, dove prendono il bagno in piena promiscuità con gli uomini, finchè nel secondo secolo, dopo quasi un millennio, l'imperatore Adriano interviene a frenare comportamenti eccessivamente disinvolti e separa ambienti ed orari di donne e uomini..Partorire per la donna romana è pericoloso, ma bisogna tentare queste tre gravidanze, altrimenti, in forza delle leggi augustee, ogni lascito ereditario finisce in mano ai parenti paterni o allo Stato e si resta per tutta la vita sotto l'amministrazione di un tutore. Contro la sterilità le donne ingeriscono rimedi pericolosi per la salute e supplicano gli dei nei santuari.Al contrario limitare le nascite, specie nelle classi più elevate, diventa il principale obiettivo della matrona che è riuscita a portare a termine le tre gravidanze e di quella atterrita dai rischi mortali del parto.. La matrona fa uso di pozioni contraccettive ed abortive, che impiegano ingredienti rischiosi come la ruta, l'ellèboro,l'artemisia. Se vuole agire in segreto deve fare attenzione perchè, sin dall'epoca delle XII Tavole, la decisione sull'aborto spetta al futuro padre che la può ripudiare per avergli sottratto il partum. I medici si rifiutano di assistere aborti, che possono nascondere un adulterio, di cui essi diverrebbero complici, subendo le stesse pene previste per gli amanti. Può accadere che la donna muoia per effetto della pratica abortiva.Se ciò avviene per un intervento chirurgico fallito, contro il medico c'è l'accusa di omicidio, se è per una pozione l'accusa è di avvelenamento. Interessante notare come in ogni caso l'aborto non è punito per sè, ma solo se procura la morte della donna. Le classi superiori provvedono a limitare le nascite con la continenza.La matrona che vive nella continenza viene ammirata ed approvata. Ma i mariti? Nella società femminile romana esiste una netta distinzione tra donne ignobili e donne rispettabili come le matrone. Si tratta di un criterio a carattere fondamentalmente sessuale.Tra le prime sono coloro che appartengono al mondo del te\atro, del circo, della prostituzione.Queste donne appartengono ad uno status sociale inferiore, riconoscibile ad esempio nel divieto di portare la stola, quel manto che è considerato proprio della rispettabile matrona. Questa donna di rango inferiore, come pure quella ufficialmente dichiarata adultera, viene privata a scopo punitivo del diritto di contrarre un legittimo matrimonio e della facoltà di trasmettere pieni diritti civili. Questo tipo di donna, se non ha solo occasionali rapporti con il marito della matrona (un romano libero non è mai colpevole di adulterio), può ufficialmente convivere in famiglia come concubina. Il concubinato, importato con molte modifiche da Atene, diviene un istituto tipicamente romano. E' sulle concubine che vengono ora fatti gravare i rischi di parto, evitati alle spose ufficiali, protette dal sistema sociale.La matrona non ha difficoltà ad accettare le relazioni del marito con schiave o donne non rispettabili. La moglie di Augusto, secondo quanto riferisce Svetonio, le fornisce personalmente al marito. Quando le orde dei barbari, sfondati i confini, dilagheranno in tutto il mondo romano occidentale, presso le rovine fumanti dell'impero quel tipo di donna romana sarà scomparso. Al suo posto incontreremo la pia donna cristiana, una donna che forse somiglierà più alla donna-domus dei tempi arcaici, ma che della donna-domina di epoca imperiale conserva intatta la stessa antica fierezza in attesa di tempi migliori. [/size] [size=12][/size] [/size] | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
Messaggi : 2143 Data d'iscrizione : 19.01.10 Età : 63 Località : pr. di milano Umore : felino, vulcanico
| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Lug 14, 2010 11:09 pm | |
| kiedo scusa x il modo di postare, ma ultimamente ogni volta ke scrivo qualcosa sul vascello mi salta la connessione.....e appare questa scrtta..."internet a causa di un probema con questa skeda ha kiuso il programma"....e mi fa perdere tutto...e non mi consente nemmeno di usare l anteprima...posso solo inviare direttamente. | |
| | | juliet Stordita d.o.c.
Messaggi : 2143 Data d'iscrizione : 19.01.10 Età : 63 Località : pr. di milano Umore : felino, vulcanico
| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Lug 14, 2010 11:11 pm | |
| al, c erano usi anke peggiori della mancanza di amore, di sesso o di potere nea vita sociale... | |
| | | algiuga
Messaggi : 2566 Data d'iscrizione : 23.01.10 Età : 73 Località : Minturno Umore : gentile
| Titolo: Re: ROMA ANTICA Mer Lug 14, 2010 11:55 pm | |
| Non solo nell'antica Roma...quand'è che le donne italiane sono state ammesse al voto? | |
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| Titolo: Re: ROMA ANTICA | |
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| | | | ROMA ANTICA | |
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